COSTACCIARO

      CITY OF BIRTH OF THE MATTRELLA AND TOMASSONI FAMILY


COSTACCIARO
Cenni Storici
L’origine del nome Costacciaro (Castrum Costacciarii), Colle Stacciarii, da alcuni viene fatta risalire al nome di un antico possessore del castello: Staccianus; dunque, secondo questa tesi, la famiglia fondatrice, d’origine eugubina, fu probabilmente quella degli Stacciari ancor oggi presenti a Gubbio, ma, nel 1300, il suo nome cambiò in Castrum Costacciarii.
La costruzione dell’antica Via Flaminia, accanto a templi, terme e santuari, favorì anche il sorgere di numerosi borghi che, una volta caduto l’Impero Romano, divennero sempre meno sicuri a causa delle frequenti invasioni barbariche.
Questo fu lo stimolo principale per la costruzione di fortificazioni come Costacciaro posto sulla cima di un colle, che riuscì a sfuggire alle scorrerie delle popolazioni germaniche.
Nel corso del XIII secolo, il Comune di Gubbio iniziò il programma di difesa del suo vastissimo territorio, costruendo nuovi castelli e ampliando quelli esistenti, compreso Costacciaro che fu caratterizzato da una struttura difensiva con cinta muraria e da un articolato sistema di torri e porte, ancora in parte esistenti.
Per sei secoli il castello fece parte integrante del Comitato Eugubino in quanto il castello aveva importanza strategica poiché segnava il confine del comitato eugubino e quando Gubbio, con tutto il suo territorio, nel 1384 si assoggettò spontaneamente ai Montefeltro, Costacciaro divenne l’estremo baluardo del Ducato di Urbino e per questo rappresentò, lungo la Via Flaminia, la porta di accesso ed estremo baluardo al suo territori.
Costacciaro divenne in breve tempo un avamposto militare molto importante, tanto che nel 1434 fu dotato della “mantellina” un macchinario per la preparazione di sfere di pietra utilizzate a difesa del castello.
Il Duca Federico II, alla fine del XV secolo, si preoccupò di potenziare ulteriormente le difese del castello con la costruzione del Rivellino, bastione difensivo dalla singolare forma a prua di nave, a difesa del lato sud e di garantirne l’approvvigionamento idrico a mezzo di nuovi condotti di adduzione e di fonti.
Per realizzare quest’opera Federico II si avvalse del noto architetto militare Francesco di Giorgo Martini da Siena, al quale si devono le rocche di Mondavio, Sassocorvaro, San Leo ed altre importanti opere architettoniche.
Decaduta la Signoria d’Urbino, Costacciaro entrò nella sfera d’influenza dello Stato Pontificio.
Risale a questo periodo (1551) la nascita di un’importante “zecchiera” dello Stato Pontificio (ferriera) lungo il torrente Scirca, fondamenta e protagonista dell’economia del territorio fino al XVIII secolo.
Costacciaro diede i natali ad illustri personalità nel campo della letteratura.
Ludovico Carbone (XVI secolo), studioso di materie giuridiche ed il Vescovo di Aqui Mons. Bonaventura Pio Fauni (XVI secolo) detto “Il Costacciaro” , illustre teologo che ebbe voce in capitolo nel Concilio di Trento.
A Costacciaro, a partire dalla metà del Duecento, andò lentamente formandosi e consolidandosi, nell’arco di quasi tre secoli la proprietà collettiva di una delle più antiche Università agrarie dell’Umbria, quella degli Uomini Originari.
La comunanza agraria gestisce circa 1.650 ettari di territorio del Massiccio del Monte Cucco, la sua sede odierna è rappresentata dalla “Caciara” uno storico edificio anticamente destinato allo stoccaggio ed alla stagionatura del cacio prodotto con il latte del bestiame al pascolo in montagna. All’interno della “Caciara” sono oggi custodite, e visibili, anche talune preziose pergamene (la più antica delle quali rimonta all’anno 1291, mentre la più recente al 1427), che riassumono buona parte della plurisecolare storia di questo ente montano.
Oggi Costacciaro è un piccolo borgo di circa 1,300 abitanti distribuiti su un vasto territorio che comprende le frazioni di Villa Col de Canali, Costa San Savino, Rancana immerso nel Parco Regionale del Monte Cucco, dove i ritmi dell’uomo seguono ancora quelli della natura che lo circonda, mantenendo alto il livello della qualità della vita.

Fonti documentative
Opuscolo informativo del Comune di Costacciaro


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COSTACCIARO
Come è noto il castello di Costacciaro fu fondato dal comune di Gubbio attorno alla metà del XIII secolo. La documentazione conosciuta e quella acquisita di recente non hanno però permesso di stabilire se il castrum sia stato realizzato ex novo oppure siano state riutilizzate precedenti costruzioni. La questione, dunque, resta ancora aperta.
Per meglio inquadrare il periodo storico o perlomeno per tentare di individuare le ragioni che spinsero il comune eugubino a costruire Costacciaro è necessario riassumere per sommi capi la situazione in cui si venne a trovare Gubbio attorno alla metà del XIII secolo, soprattutto in rapporto al comune di Perugia che sempre impedì agli eugubini di espandersi verso i propri confini o verso quelli dei suoi più o meno periodici alleati (Cagli, Sassoferrato, Gualdo, Nocera).
Già nel XII secolo la storia dello sviluppo del comune di Gubbio appare strettamente legata a quella del comune di Perugia. Richiamato brevemente alla memoria il conflitto contro le undici "città" nemiche citato dal beato Giordano nella "Vita di Sant'Ubaldo", ma sul quale non è stato ancora reperito alcun documento, si giunge all'atto del 28 febbraio 1183 con il quale Gubbio, non si bene per quali ragioni, si sottomise a Perugia.
Nonostante ciò, grazie alla politica filo imperiale svolta forse più per necessità di contrastare in qualche modo il giogo perugino che per intima convinzione, Gubbio poté ritornare ben presto in possesso della propria autonomia dando nel contempo inizio ad una notevole espansione, urbana e territoriale, tanto da costringere Cagli a fare atto di sottomissione nel 1199.
Le mire espansionistiche di Gubbio, soprattutto verso Nocera e Fossato, ebbero subito la conseguenza di inasprire nuovamente i rapporti con i perugini. Nel 1216 diversi feudatari del confine sud sottomisero a Perugia i propri castelli sui quali, però, Gubbio diceva di vantare alcuni diritti. La reazione eugubina fu immediata e alcuni di quei luoghi fortificati furono assaltati, danneggiati e distrutti. La guerra con Perugia fu inevitabile e, purtroppo per Gubbio, si risolse con un lodo veramente nefasto emanato nel 1217, per comune accordo, addirittura dal podestà di Perugia! Per Gubbio non fu più possibile immaginare alcuna espansione verso i confini perugini, cioè a sud est e a sud ovest del suo distretto. Fu quindi giocoforza rivolgersi verso nord e, soprattutto, verso nord est, in direzioni cioè dove non esistevano città potenti come Perugia, ma anzi si trovavano territori dipendenti - direttamente o indirettamente - da Cagli, da Sassoferrato e, soprattutto, dall'Eremo di Fonte Avellana. I semplici feudatari laici, inoltre, potevano essere adeguatamente "convinti" a cedere i propri beni con opportuni accordi. Quest'ultimo è il caso che portò nel 1234 alla fondazione del castello di Pergola.
Tra gli anni trenta e gli anni cinquanta del XIII secolo il comune di Gubbio iniziò una vera e propria fase di penetrazione verso la Flaminia e il territorio marchigiano. In poco meno di trent'anni gli eugubini fondarono o, in almeno un caso, consolidarono i castelli di Pergola (1234), Cantiano e Colmatrano (1235), Serra Sant'Abbondio (ca. 1257) e Costacciaro (1258-1263). Nello stesso periodo si ebbero inoltre le sottomissioni di Montesecco (1250), l'acquisizione di Fossato (1251) e - pare - di Sigillo (1249). Scheggia già da tempo gravitava nel distretto territoriale eugubino (1163, diploma di Federico Barbarossa).
Per contro, dopo il periodo filo imperiale durante il regno di Federico II (morto nel 1250), Gubbio fu costretta dalle circostanze a scontrarsi ancora una volta - e non sarà l'ultima nei travagliati rapporti che caratterizzarono questi due comuni durante buona parte del medioevo - con Perugia (1256-1259) e il conflitto si concluse di nuovo con la vittoria del Grifo.
Pochi anni dopo, in seguito al definitivo passaggio di Gubbio nell'orbita ecclesiastica, la città ebbe modo di sperimentare la benevolenza dei papi Urbano IV e Clemente IV i quali, tra i vari benefici, confermarono agli eugubini il possesso dei castelli edificati poco prima.
La costruzione di Costacciaro si verificò durante quella che possiamo considerare la seconda fase di espansione di Gubbio verso il versante nord est, dove più numerosi erano i possedimenti degli avellaniti di Santa Croce. L'abbazia di Sant'Andrea dell'Isola dei Figli di Manfredo, la cui storia meriterebbe di essere ricostruita in dettaglio, dipendeva dai benedettini di Fonte Avellana il cui controllo si estendeva su molte chiese, castelli e nuclei abitati fino alle porte di Pergola. Gubbio, nella suo opera di espansione, potè contare anche sul tacito consenso, se non sulla connivenza, del vescovo diocesano desideroso anch'egli di togliere agli avellaniti terre, anime e decime. In fin dei conti si può affermare che almeno in quella fase storica gl'interessi del potere laico e di quello religioso coincisero. Tra l'altro nel 1254 il Rettore del Ducato di Spoleto ordinò a Giacomo, vescovo di Gubbio, di non molestare ne i monaci dell'eremo di Fonte Avellana, ne i confratelli del monastero dell'Isola dei Figli di Manfredo.
Fu proprio durante la guerra con Perugia e immediatamente dopo che Gubbio costruì altri due importanti luoghi fortificati: Serra Sant'Abbondio (per controllare la pianura verso Sassoferrato) e Costacciaro.
Conosciamo alcuni dati sulla storia iniziale di questo castello soprattutto grazie a due cause civili che si svilupparono tra l'ottavo e il nono decennio del XIII secolo. Gli atti di queste cause contengono notizie molto interessanti, anche se in parte già note. Assieme a nuove informazioni nel frattempo acquisite esse ci permettono di ricostruire quanto accadde allora.
Tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta del Duecento il comune di Gubbio "sobillò" gli abitanti della zona nord est del suo territorio contro i monaci di Fonte Avellana: una mossa strategica destinata a dare i suoi frutti. In tale operazione furono distrutti, o comunqne fortemente danneggiati, i castelli di Montesecco (diocesi di Cagli), Lecce (diocesi di Nocera), Campetri, Capitale, Isola dei Figli di Manfredo e Villa Sorte (diocesi di Gubbio), tutti appartenenti - direttamente o indirettamente - agli avellaniti. Gli abitanti di questi luoghi (alcuni dei quali riparati e ricostruiti dai padri di Fonte Avellana dopo il 1265) andarono a popolare Pergola, Serra Sant'Abbondio e Costacciaro.
La documentazione disponibile relativa alla causa con il Rettore del Ducato di Spoleto che per competenza territoriale rivendicava alla Curia romana anche il possesso di "Castrum Collis Stacçarij" non è univoca sulla data di costruzione di questo castello. Negli atti prodotti gli eugubini affermarono che Costacciaro era stato edificato - su loro iniziativa - attorno al 1258-1263 dalle famiglie dell'Isola e del castello dell'Isola dei Figli di Manfredo le quali, in origine, appartenevano all'abbazia di Sant'Andrea, a sua volta dipendente dell'eremo di Fonte Avellana. Il castello, dalla sua costruzione al 1280-1285 (periodo a cui risalgono i documenti di questa causa), fu sempre in dominio e alle dipendenze del comune di Gubbio, così come lo furono gli uomini che lo abitarono.
Per l'edificazione del castello Gubbio spese 15.000 libbre di denari ravennati. L'appartenenza al comune di Gubbio delle famiglie che una volta abitavano la villa di Isola risultava anche dall'arbitrato dato alcuni anni prima dal cardinale Liberto che riportò il consenso del pontefice e l'approvazione del priore di Fonte Avellana. Con questo ricorso Gubbio intendeva respingere la sentenza emanata dal Rettore del Ducato di Spoleto che rivendicava alla Santa Sede il possesso dei principali castelli fondati pochi decenni prima.
L'arbitrato del cardinale Liberto appena richiamato è molto interessante. L'atto risale al 10 novembre 1265. Con questo arbitrato si poneva fine alla vertenza sorta tra Gubbio e Fonte Avellana per la distruzione dei castelli di cui si è già detto. Molto interessanti sono i passaggi che riguardano Isola:
- gli uomini del castello di Isola avrebbero dovuto restituire al monastero avellanita i loro feudi e le loro proprietà entro il 13 dicembre;
- gli uomini di Isola avrebbero dovuto pagare 200 libbre di denari ravennati entro il 13 dicembre per la loro affrancazione (erano infatti servi della gleba);
- il comune di Gubbio avrebbe dovuto far restituire entro il 6 gennaio la metà di tutti i beni dal medesimo concessi in enfiteusi agli abitanti di Isola o da detti abitanti comprati; il monastero avrebbe potuto o acquistare l'altra metà o lasciarla in enfiteusi ai possessori;
- il luogo ove sorgeva il castello di Isola sarebbe rimasto in proprietà degli avellaniti che lì avrebbero potuto fabbricare abitazioni per i propri lavoratori;
-gli uomini di Isola, dopo aver soddisfatto le condizioni sopra riportate, sarebbero diventati liberi ed affrancati e il comune di Gubbio non avrebbe dovuto gravarli di tasse maggiori rispetto a quelle applicate dal monastero;
- il comune di Gubbio sarebbe rimasto responsabile del comportamento degli uomini di Isola, specie in caso di molestie nei confronti del monastero di Fonte Avellana o di quello di Sant'Andrea dell'Isola dei Figli di Manfredo.
Il primo documento coevo che cita esplicitamente il castello di Costacciaro risale al 14 dicembre 1265 e riguarda una circostanza abbastanza importante. Un certo maestro Elia, uditore generale del papa, si rivolgeva al podestà e al capitano del popolo del comune di Gubbio affinchè non avessero osato intromettersi nella causa in corso tra l'eremo di Fonte Avellana e l'abbazia di Sant'Andrea, da una parte, e il comune del castello di Costacciaro ("Commune Castri Collistazarij") dall'altra, pena la scomunica! Scomunica che invece - almeno così sembra - aveva già colpito i sindaci di Costacciaro Ugolino e Bentivoglia per una precedente lite con la parte ecclesiastica. L'esito di questa causa e l'eventuale revoca della scomunica ci sono del tutto ignoti. Sappiamo invece che il 4 ottobre 1267 Albertino da Montone, priore di Fonte Avellana, incaricò Forte, camerlengo dell'eremo, di ritirare presso il sindaco del comune eugubino il residuo delle 200 libbre occorrenti per l'affrancazione degli abitanti di Isola, pagamento che fu quietanzato in Gubbio il 21 dicembre seguente.
Altri documenti interessanti risalgono al settembre 1285 quando il comune di Gubbio ratificò la vendita fattagli da Filippo "Bennesinne" di un pezzo di terra, posto nel castello, sul quale era stato costruito l'edificio che ospitava il "comune", cioè la sede del capitano - sempre eletto dagli eugubini - e del consiglio degli uomini dell'Università del castello di Costacciaro. Un documento del 1535 attesta che la sede del comune era allora ubicata lungo il corso principale. Si tratta forse dello stesso edifico duecentesco?
Lo sviluppo di Costacciaro fu abbastanza rapido, tanto che circa 20 anni dopo la sua fondazione si ebbero numerosi contrasti tra i suo abitanti, che tendevano a trasformare la pendici del Monte Cucco in aree coltivabili, e l'abbazia di Sant'Andrea che, proprietaria di quei terreni, intendeva usarli per il pascolo dei propri armenti. Su questo ennesimo contrasto esistono numerosi documenti pubblicati nelle Carte di Fonte Avellana e relativi ad alcune deposizioni rese da molti abitanti del luogo. Gli atti di questa ennesima lite, databili al periodo 1287-1289, sono molto importanti perché confermano tra l'altro che Costacciaro fu edificato tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta del XIII secolo. Anche in questo caso, purtroppo, nulla si conosce della conclusione della lite anche se, visto come andarono poi le cose, c'è da ritenere che l'abbazia di Sant'Andrea dovette piegarsi a queste nuove circostanze.
Sullo sfondo di questi avvenimenti si trovano documentati alcuni esponenti della famiglia Guelfoni che da sola - è bene ricordarlo - meriterebbe uno studio appropriato. La signoria rurale dei Guelfoni, infatti, fu molto importante per la storia di Costacciaro: poco conosciamo di essa. Quello che intanto possiamo dire, anche in base alla documentazione disponibile, è che i Guelfoni mai esercitarono alcun potere politico su Costacciaro. Per Gubbio questo castello era molto importante e al pari degli altri (p.e. Pergola, Cantiano, Serra Sant'Abbondio) lo governava tramite un proprio ufficiale (in questo caso si trattava di un capitano) cui spettava, tra l'altro, la convocazione del consiglio, vero organo amministrativo di autogoverno di Costacciaro. Il capitano era affiancato nelle proprie funzioni dal camerlengo, probabilmente da un notaio e, all'occasione, da uno o più sindaci. A capo dell'Università vi erano quattro consiglieri, denominati nel XV sec. "li quatro" o "massari".
Molto suggestivo e solenne appare un documento del 4 luglio 1274 quando nella casa del comune, su mandato del capitano Giacomo di Suppolino, si riunì il "parlamento seu arenga Communis et Universitatis Castri collis staçarij" per eleggere un procuratore, "de voluntate dicti parlamenti et ipsum parlamentum totum auctoritatem dicti Capitanei"



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LE PORTE DI COSTACCIARO


Quattro erano le porte che si aprivano nel circuito delle mura di Costacciaro: due, rispettivamente, nei lati nord e sud (schematicamente riportate nella carta della diocesi di Gubbio, commissionata dal vescovo Mariano Savelli al chierico e cartografo Ubaldo Georgii, nella seconda metà del secolo XVI), ed altrettante nel fianco occidentale della fortificazione, che era significativamente preceduta da un’area di prima recinzione e difesa, denominata, ancor oggi, La Chiusura (latino clausura[m]).
In antico italiano, il termine chiusura assumeva, spesso, anche l’ormai desueto significato di ‘recinto, muro di cinta’. Non è escluso, tuttavia, che con il nome locale di Chiusura gli antichi Costacciaroli volessero alludere ad un ormai scomparso fossato, scavato attorno al castello, e, forse, ricordato dal toponimo attuale Il Riàccio, vale a dire ‘il cattivo fossato’.
Porta dell’Orologio. Era la principale della cinta muraria del Castrum Collistacciarii, che dava accesso al lato del castello che "guardava dall’alto" la vicina e nemica Sigillo, la quale, in mano ai Perugini, costituì una perenne "spina nel fianco" del territorio della munita città di Gubbio. Appare interessante notare come nella muratura del lato interno del manufatto, costituita da pietra essenzialmente calcarea, siano stati inseriti, con una qualche regolarità, conci di arenaria.
Porta del Trióne o del rivellino. Il più basso ed esposto fra gli ingressi della cinta muraria, aprentesi lungo l’antica via di Gubbio, fu, come detto, dapprima difeso da un torrione quadrilatero due-trecentesco, da cui il nome popolare di Trióne, vale a dire ‘torrione’ (simile a quello, di Torróne, con cui si identificava popolarmente La Torre dell’Olmo), attribuito, da secoli, al rivellino, poi reso quasi inespugnabile, a partire dall’anno 1477, dal geniale architetto militare del duca Federico da Montefeltro, Francesco di Giorgio Martini da Siena, attraverso una singolare architettura a "pianta spezzata". Recenti restauri, hanno rimesso in luce taluni contrafforti di pietra calcarea sovrapposta a malta, con archi verso l’esterno, a formare una successione di nicchie semicircolari, interpretate come altrettante postazioni per archibugieri. La porta (che doveva parzialmente aprirsi sull’attuale Via del Fosso e di cui si possono ancora notare gli esigui ed ammorsati resti sul fianco meridionale) sembra assente anche dalle antiche cartografie, mentre il rivellino si può tuttora schematicamente osservare rappresentato sul disegno di Costacciaro, contenuto nella carta della Diocesi di Gubbio del Giorgi (sec. XVI). Il perimetro esterno dell’attuale rivellino fu, piuttosto maldestramente, eseguito con pietra calcarea di Cagli a mascherare l’originaria muratura. Su un tratto di raccordo tra le mura castellane ed il rivellino si vede tuttora occhieggiare una postièrla.
Porta cosiddetta di Guerrino Gambucci (secc. XIII-XIV). Già allo stato di rudere, fu demolita circa mezzo secolo fa. In una foto del 1933, si vede come fosse alta attorno ai sei metri e presentasse un’apertura quadrangolare sul lato meridionale, forse interpretabile quale accesso al camminamento di ronda delle mura, che, in questo settore meridionale, apparivano, almeno sino al rivellino, ancora ben conservate. In questa stessa epoca, le mura risultavano largamente conservate, benché invase da arbusti ed erbe, anche lungo il fianco meridionale del colle di Costacciaro, almeno a partire dalla torre dell’Orologio e procedendo verso occidente. All’inizio del Novecento, sui muri della porta si erano già insediati numerosi arbusti, che contribuirono ad accelerarne il progressivo disfacimento.
Porta del Monumento o di S. Lorenzo (a due archi, secc. XIII-XIV). Ancora presente alla fine dell’Ottocento, o ai primi del Novecento, fu abbattuta, perché l’angustia degli archi non permetteva il passaggio di grossi carri. Il manufatto è chiaramente indicato, seppure in maniera schematica, in una carta della Biblioteca Apostolica Vaticana (Codice Barberino Latino 4434, f. 63 r.), databile al secolo XVIII. Accanto alla porta, si vede la cosiddetta "Torre di Fedele Galli" (con orientazione assai fedele all’originale), e, più ad oriente, altre due torri, o bastioni, non meglio identificabili. Ben rappresentato il tratto settentrionale della cinta muraria.
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Alcune denominazione duecentesche del castello di Costacciaro:
1254: Collestacciarii (“oppidulum”);
1267: Collestaciarium, Collis Stazarii;
1269: Stazaio; 
1277: Collis Stazarum; = ‘colle di proprietà della famiglia degli Stacciari’?
1280: Collis Stacciarii, Collistaççari, Collis Staççarii, Collis Staççarij;
1282: Collis Staççari;
1287: Castrum Collis Stazarii;
1290: Colle Stazario;
1299-1300: Colle Stazario;
1300: Costaciayo.

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LE FRAZIONI DI COSTACCIARO
All’interno del suo territorio comunale, esteso su di una superficie pari a 41,30 km2, Costacciaro annovera tre principali frazioni storiche. Per frazioni storiche s’intende qui il fatto che tali abitati fecero parte, sin dall’origine, del castello di Costacciaro (Castrum Collistacciarii), in qualità di “ville” del territorio di sua giurisdizione, o “curia”. Dal punto di vista geografico, solo tre frazioni presentano le caratteristiche di centro abitato, poiché possono “vantare” almeno un luogo di raccolta degli abitanti (chiesa, piazza, bar, ecc.). Esse sono, in ordine di grandezza e di numero d’abitanti: Villa Col de’ Canali (con Pie’ la Rocca), Costa San Savino (con Ferba) e Ràncana. Vi sono, poi, una serie di piccoli “nuclei” insediativi, anch’essi di lontana origine: Coldagello (o, anticamente, Coldagelli, dalla locuzione latina collis agelli, cioè ‘colle del campicello’), Caprile (già denominato Villa San Donato), Pie’ la Rocca (il cui nome vuol dire: ‘ai piedi della rocca’), Ferba, Colmartìno (d’origine antichissima [prima attestazione, anno 1130!], forse anteriore a quella dello stesso capoluogo di Comune), Borgo San Rocco (il borgo è, storicamente, quel nucleo abitativo che stava immediatamente al di fuori delle mura del castello). Moltissimi, poi, i vocaboli rurali, tipici dell’insediamento sparso d’un tempo, a carattere essenzialmente contadino: Garapella, Fracassìno, Coltarduccio, Bosco, Palazzo Fantozzi, Palazzo Billi, Badia (probabilmente il più remoto nucleo abitato del Comune: l’antico castello di Insula Filiorum Manfredi, forse esistente già nel X secolo, ma documentato solo a partire dal XII), Scassaiola, Bigello, Trebbio (toponimo d’origine prelatina, sul cui territorio, già intorno Mille, doveva sorgere una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, e di cui, con il nome di Villa Trebbi, si parla più diffusamente nel XIV e XV secolo), Molinaccio, Chiascio Grande, Collalto (in origine castello: Castrum Collis Alti), Rubbiano, Venara, Càjje, Casella, Casaccia, Pascolo (toponimo già attestato il 7 ottobre 1277), Case Nuove, ecc. Villa Col de’ Canali conta 263 abitanti, mentre Costa e Ràncana ne annoverano, rispettivamente, 139 e 63 (dati numerici estrapolati dal censimento generale del 2001). L’insediamento umano nel borgo pedeappenninico di Costacciaro (m 567 s.l.m.), d’origine sicuramente antichissima, forse addirittura protostorica, ha, poi, conosciuto recenti nuclei d’espansione, corrispondenti alle località Calcinaro-Fossa Secca-Borgo San Rocco, le quali raccolgono una popolazione complessiva di 238 abitanti, una cifra che rende questo stanziamento uno dei più popolosi insediamenti dell’intero Comune. A fronte d’una popolazione complessiva di 1289 abitanti (di cui 350 vivono nel centro storico), il Comune di Costacciaro mostra un insediamento “accentrato”, di tipo “urbano”, che assomma a circa l’85% del totale, mentre l’insediamento di tipo “sparso” raccoglie il restante 15% degli abitanti del Municipio. L’esistenza di Villa Col de’ Canali (559 m s.l.m.), che sorge su di un conoide di deiezione, è attestata, da documenti d’archivio, sin dal XIV secolo, anche se piccoli nuclei di popolazione dovettero sicuramente impiantarvisi, sin dall’età del bronzo ed in epoca umbra, attorno ad un “castelliere” d’altura, prima, e, poi, durante l’epoca romana, in corrispondenza d’una villa. Una tradizione orale popolare vuole che a fondare Costa San Savino (m 599 s.l.m) fossero gli scampati alla distruzione bellica della statio romana di Ad Ensem (nel racconto denominata “Città Sanìa”), vale a dire l’odierna Scheggia, distruzione dovuta alla discesa di popolazioni di ceppo germanico, tra i secoli V e VIII. Costa San Savino è, però, storicamente documentata solo a partire dal Mille. A quell’epoca, vi sorgeva, infatti, una chiesa intitolata a San Savino, da cui deriva il nome attuale del centro. Sappiamo, poi, che nel 1262 vi nacque il Beato Tomasso Grasselli, del quale si conservano tuttora parte delle strutture murarie della casa d’abitazione. Il nome di Costa allude al fatto che essa sorge “in costa”, vale a dire sul fianco declive di una montagna. La fondazione di Ràncana (m 625 s.l.m.) è un poco più tarda; essa dovrebbe, infatti, essere sorta attorno ad una dimora di caccia dei duchi di Montefeltro: il Palazzo Lupini. Poco resta di tale palazzetto fortificato: alcuni portali, antichi fondaci, ed il resto mutilo della torre di guardia. Il Palazzo Lupini doveva controllare una vasta tenuta di caccia, che, dal verbo latino venare, cioè ‘cacciare’, dovette prendere il nome di Venara. Nel vocabolo rurale Venara sorge, infatti, una piccola abitazione del XVI secolo, che ha tutta l’aria d’essere stata una “casina di caccia”. Il nome Ràncana è collegato a ranco, ‘porzione di terreno disboscato, arso e dissodato in vista della messa a coltura’. I primi documenti storici che parlano di Ràncana appartengono al XV secolo e la denominano “Villa Ranchane”. Il 12 febbraio 1582, Giovanni Luca Lupini, con tutta probabilità abitante di Ràncana è capitano del castello di Costacciaro.
Notizie raccolte e ordinate dallo storico locale Euro Puletti 

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                                         PERSONAGGI ILLUSTRI 






PIETRO FAUNI DA COSTACCIARO  
Tra il 1559 ed il 1585, il vescovo Pietro Fauni da Costacciaro (“Pietro Fauno di Costacciara”, come venne, talvolta, chiamato) fu pastore d’anime ad Acqui Terme. Al suo zelante intervento si debbono fatti essenziali nella riorganizzazione della diocesi del luogo. Lo scambio epistolare tra il vescovo Fauni di Acqui e Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, dimostra come la diocesi acquese fosse, allora, povera dal punto di vista economico, ma ricolma di ricchezze spirituali. Nel 1566, ad esempio, monsignor Pietro Fauni, fondò, sempre ad Acqui, il locale seminario. Fu, inoltre, zelante visitatore delle parrocchie. Le prime relazioni canoniche delle visite pastorali nella diocesi sono, infatti, proprio quelle delle quali il vescovo di Costacciaro fu protagonista. Apprestandosi ad abbandonare la cattedra di San Guido per quella di Vigevano, Pietro Fauni ordinò la compilazione d’un primo e preliminare catalogo per Francesco Sangiorgio, suo designato successore. Dovette trattarsi di un manoscritto, intitolato Inventario de le scritture pertinenti il vescovato di Acqui date da mons. r.mo vescovo Costaciaro al prior di Nizza per consegnarle a mons. r.mo vescovo San Giorgio, che, nell’anno 1914, risultava, purtroppo, già perduto. Nel 1578, la città riuscì ad ottenere che il pastore Pietro Fauni, detto “Costaciaro”, infliggesse la scomunica a “chi ritenesse le carte cittadine”, cioè a colui il quale se ne appropriasse indebitamente. Sua eccellenza Pietro Fauni ricoprì, infine, la cattedra episcopale di Vigevano dal 1589 al 1592.
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Una figura poco nota, nonostante gli sia stata dedicata anche una via
Massarelli, eredità del Settecento
Costacciaro - Il costacciarolo Massarello Massarelli fu un erudito ed archivista del secolo XVIII, il quale, presumibilmente nato nel palazzo Fauni-Massarelli (poi Chemi), visse perlopiù a Gubbio, alla fine del Settecento. Come riferisce l'autorevole studioso eugubino Fabrizio Cece, in questa città si conservano molti suoi scritti, appartenenti soprattutto alla tipologia testuale dell'inventario. Uno di tali repertori, che riguarda le monache di San Marziale, è datato 1782. Nel fondo archivistico Armanni di Gubbio vi è un volume di sue annotazioni, che riguardano anche la propria famiglia. A giudicare da quanto ne scrisse lo storico eugubino Piero Luigi Menichetti, in "Storia di Costacciaro" (Castrum Costacciarii, Rubini & Petruzzi, Città di Castello 1984), desumendo, questa volta, i dati, direttamente dall'olio su tela di sua proprietà, che raffigura Pietro Fauni, quest'ultimo, grande vescovo costacciarolo di Vigevano, sarebbe stato prozio di Massarello Massarelli ("Massarellus . Massarellius . Faunius . Trinepos"), il quale ultimo gli avrebbe fatto restaurare un'effigie nell'anno 1787. La ragguardevole figura di Massarello Massarelli Fauni dovrebbe essere una di quelle da indagare maggiormente nella storia di Costacciaro, perché risulta assai poco nota, nonostante che, nel paese, gli sia stata dedicata una via. Si suppone che gli affreschi settecenteschi del palazzo Fauni-Massarelli-Chemi di Costacciaro potrebbe averli commissionati proprio Massarello Massarelli. In essi compare, fra l'altro, lo stemma, inquartato (molto bello), delle famiglie Fauni-Massarelli, che si imparentarono alla fine del XVI. secolo, quando "Bonaventura Fauni, suo nipote [di Pietro Fauni], si unì in nozze con Vincenza, figlia di Lelio Massarelli nobile eugubino, il 7 febbraio 1597".
Euro Puletti 

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Secolo d’oro fu, il XVI, anche per Costacciaro, che, al pari dell’Italia tutta del Rinascimento, conobbe la sua propria rinascenza. Così scrive, infatti, il grande storico eugubino, del XVII secolo, Vincenzo Armanni, in riferimento a Costacciaro ed ai suoi uomini più illustri: «È riguardevolissimo frà gli altri castelli di questa giurisdizzione il prefato luogo di Costacciaro, sette miglia distante da Gubbio, per aver dato al mondo molti vescovi, e generali d’ordini, e gran moltitudine d’uomini letterati, fra’ quali tiene il suo luogo Lodovico Carboni, uomo d’insigne letteratura». Nel corso del 1500, infatti, fiorirono a Costacciaro figure d’elevata cultura a livello regionale e nazionale, e grandi predicatori, quali Bonaventura Pio FauniPietro FauniBernardino Boldrini(tre “voci in capitolo” al Concilio di Trento!), Flavio Fauni, lo studioso di filosofia Urbano Longhi, il professore di filosofia Matteo Sammattei, Padre Maestro Dionisio Sammattei, inquisitore generale della città di Firenze e dell’intero suo dominio, nonché reggente del Convento dell’Annunziata della stessa città, contemporaneo, e, assai probabilmente, intimo amico, quest’ultimo, del massimo umanista costacciarolo: Messer Ludovico Carbone.
Ludovico Carbone, o Carboni, è stato, senza ombra di dubbio, il più illustre soggetto cui Costacciaro abbia dato i natali in campo letterario. Nacque a Costacciaro nel 1532, fu Maestro (cioè a dire ‘rettore’) dello Studio perugino, nell’anno 1570, fiorì attorno al 1585, e morì, a Venezia (dov’è presumibilmente sepolto), circa l’anno 1590. Nell’anno 1551, cioè a dire all’età di diciannove anni, lasciò la propria firma all’interno della Grotta di Monte Cucco, e, visto che l’esplorazione di tale cavità, in quei tempi assolutamente pionieristica ed assai rischiosa, richiedeva un’età quanto meno matura, vale a dire giunta almeno sui trent’anni, possiamo da ciò arguire come Carbone, precoce e grande, non lo fosse stato solo in campo letterario, ma, anche, speleologico. Poco o nulla ci è stato tramandato circa l’educazione ricevuta da Carbone. È, però, assai probabile che egli conducesse i suoi primi studi presso gli eruditissimi Frati Francescani Minori Conventuali di Costacciaro. Dovette, poi, passare a formarsi in ambito ecclesiastico eugubino, al tempo del grande Vescovo (poi Cardinale, e, infine, Papa, con il nome di Marcello II) Marcello Cervini. Nell’opera Interior homo (‘l’uomo interiore’), Carbone ringrazia espressamente, per gli insegnamenti ricevuti, l’“Ill.mo ac Rev.mo Dominus Octavio Accorombono”, Eugubino, vescovo di Fossombrone. Agli ammaestramenti dell’Accoromboni, Carbone confessa di dovere molto del suo successo e di quello di quest’opera. Dalla lettura d’alcune altre delle sue opere sappiamo, poi, che egli fu, per molti anni, allievo dei Padri Gesuiti ed in particolare di Padre Claudio  Acquaviva, che diverrà Ministro generale della Compagnia di Gesù (allora detta  “Societas Iesu”), ed al quale, in progresso di tempo, Carbone dedicherà l’opera Vir iustus (‘l’uomo giusto’). È altresì plausibile, che, proprio presso i Gesuiti (i quali, come si sa, hanno sempre tenuto in gran conto la rigorosa preparazione culturale), Carbone fosse ordinato sacerdote. È, infatti, impensabile, che, in epoca controriformistica, si potesse giungere ad essere Magister Sacrae Theologiae (cioè ‘Maestro di Sacra Teologia’) e scrivere, liberamente ed in maniera diffusa, sulla dottrina cristiana ed il catechismo, senza essere almeno divenuto presbìtero. Egli dovette, dunque, essere sacerdote gesuita, o, in seconda ipotesi, domenicano.
Di Carbone si parla in numerosi scritti, di letterati e storici, tra i secoli XVI e XVII. Ne L’esemplare della gloria, Carbone è menzionato dal “cronista regio”, e storico eugubino, del XVII secolo, il Padre olivetano Don Bonaventura Tondi, il quale, a tal proposito, annotava: «Fù soggetto di grandissima abilità, e di squisito talento Ludovico Carboni, il quale fiorì l’anno 1585. & è il suo nome celebre nelle stampe, essendo meritevoli i suoi inchiostri de i forzieri di Dario». Un’importante opera del Carbone fu, come accennato, Interior homo, vel de suiipsius cognitione(vale a dire, ‘sull’uomo interiore’, o, ‘sull’anima umana, ovverosia sulla conoscenza di sé stessi’), edizione in pergamena del 1585. Della sua eccellenza nelle “humanae litterae” trattarono Onofrio Panuinio, nella Cronologia ecclesiastica, Bartolomeo Zucchio (scienziato e scrittore gesuita, 1586- 1670), nella Sua Idea, Orazio Lombardello ed altri scrittori.
Secondo quanto scrive Vincenzo Armanni, Carbone rese edita una serie ininterrotta di “opere di numero sopra trenta”. Alcuni di questi libri saranno, poi, pubblicati postumi tra il 1590 ed il 1599, segno lampante, questo, della sua grande fama, ormai chiara e consolidata. Ludovico Carbone rese, dunque, editi numerosissimi volumi, la cui cronologia va dal 1583 al 1599: sedici anni di studi “pazzi e disperatissimi”, si potrebbe dire, mutuando tale celeberrima frase da Leopardi. L’opera più ampia è “La divina istituzione”, in 25 libri, l’ultima, Il Tractatus de legibus (‘Trattato delle leggi’), in 18 libri, stampato, a Venezia, nel 1599.
Le seguenti cinque opere del nostro autore trovano attualmente collocazione presso la Biblioteca Universitaria d’Urbino:
  1. l’Introductionis in Universam Philosophiam;
  2. il De quaestionibus oratoriis libri duo;
  3. il De elocutione oratoria;
  4. il De oratoria, et dialectica inventione;
  5. il De praeceptis Ecclesiae opusculum utilissimum.

Una ventina di opere del nostro Ludovico Carbone sono conservate all’interno del fondo antico della Biblioteca Sperelliana di Gubbio; esse sono:
  1. il Compendium […] totius summae theologiae (Damiani, Venezia, Zenarij, 1587, collocazione: III 39 D 20);
  2. il De caussis eloquaentiae (Venezia, Zenarium, 1593, coll.: III 33 K 19);
  3. il De disputatione oratoria (Venezia, Zenarum, 1590, coll.: III 33 K 18);
  4. il De officio oratoris […] (Venezia, Guerrilium, 1596, coll.: III 33 K 16);
  5. il De octo partium orationis constructione libellus (Venezia, Johannem Baptistam Ciottum, 1592, coll.: III 33 K 20);
  6. il De elocutione oratoria (Venezia, Johannem Baptistam Ciottum, 1592, coll.: III 33 K 17);
  1. il De oratoria, et dialectica inventione (Venezia, Zenarum, 1589, coll.: III 33 K 14);
  2. il De pacificatione et dilectione inimicorum iniuriarumque remissione cum appendice De amore et concordia fraterna (Florentiae, Bartholomaeum Sermertellium, 1583 coll.: III 36 A 3);
  3. il De praeceptis Ecclesiae opusculum utilissimum (Venezia, Nicolaum Morettum, 1596, coll.: II 7 A 39);
  4. l’Introductio ad Catechismum, sive Doctrina Christiana (Venetiis, Ad signum Leonis, 1596, coll.: 33 I 14);
  5. l’Introductio in Sacram Theologiamsex comprehensa libris (Venetiis, Iohannem Variscum & Paganinum de Paganinis, 1589, coll.: III 35 I 5);
  6. l’Introductionis in Logicam, sive totius logicae compendij absolutissimi (Venezia, Iohannem Baptistam & Iohannem Bernardum Sessam, 1597, coll.: III 33 A 4);
  7. l’Introductionis in universam philosophiam libri quattuor (Venezia, Marcum Antonium Zalterium, 1599, coll.: III 33 A 5);
  8. il Tractatus de Legibus (Venetiis, Guerilium, 1599, coll.: II 27 D 2);
  9. il De quaestionibus oratoriis  libri duo (Venezia, Zenarium, 1593, coll.: III 33 K 15);
  10. il Divinus oratorvel de Rhetorica divina (Venetiis, apud Societatem Minimam, 1595, coll.: III 45 I 6);
  11. L’huomo giusto o la centuria (vale a dire ‘l’insieme di cento unità’) delle lodi dell’huomo cristiano del signor Lodovico Carbone da Costacciaro (tradotto dal Reverendo Padre Leonardo Cernoti, Canonico di San Salvadore, in Venetia, Giacomo Somasco, 1594, coll.: III 39 D 22);
  12. l’Interior homovel de suiipsius cognitione (Venetiis, Iohannem Variscum & Paganinum de Paganinis, 1585, coll.: III 33 I 16/III 58 F 6);
  13. l’Orationis dominicae ampla expositio […] autore Ludovico Carbone a Costaciaro […] (Venetiis, Iohannem Baptistam Somaschum, 1590, coll.: III 40 A 21);
  14. il Tractatus de omnium rerum (Venetiis apud haeredes Iohannis Baptistae Somaschi, 1592, coll.: III 33 I 17);
  15. il Vir iustus, vel de laudibus hominis christiani, centuria […] nunc primum in lucem edita, autore Ludovico Carbone a Costaciario (Venetiis, apud Iacobum Bendolum, 1585, coll.: III 35 A 6).

Viene ora da chiedersi come mai siano giunti così tanti libri di Carbone nella Biblioteca Comunale Sperelliana. Fu, probabilmente, proprio Alessandro Sperelli, dottissimo vescovo di Gubbio, a raccogliere, per il tramite del suo predecessore, Mariano Savelli, che aveva istituito l’Archivio Diocesano, i testi latini del nostro Carbone e a conservarli nella biblioteca che da lui prenderà successivamente il nome. Molte opere di Carbone sono sparse in varie biblioteche nazionali ed estere; di lui si tratta, poi, in Olanda, Ungheria ed in altri Paesi. Nel XV secolo, a Costacciaro, esisteva un predio agricolo della località Trébbio che dovette essere di proprietà della famiglia Carbone: Collis Carboni o Colle Carbone, che, tradotto, vale ‘Colle di Carbone’ o ‘Colle di proprietà dei Carbone’. In un documento eugubino del 1120, raccolto e trascritto da Pio Cenci, in Carte e diplomi di Gubbio dal 900 al 1200, compare già la forma toponimica di base, Colle Carbo, dalla quale potrebbe essere disceso l’antico toponimo costacciarolo. In un documento del 1625, relativo a Costacciaro, figura una probabile discendente di Ludovico Carbone: «donna Claudia Carboni». Quasi tutte le opere di Carbone terminano con la seguente dedica, tradotta dal latino: “Lode a Dio ed alla Vergine Annunziata”

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Fra’Dionisio Sammattei orgoglio di tutta la comunità

COSTACCIARO ‑ Fra i membri illustri dell'ormai estinta famiglia dei Sammattei, o Sanmattei, di Costacciaro fu celeberrimo il religioso Fra' Dionisio o Dionigi Sammattei, Francescano minore conventuale; grande predicatore, ed inquisitore generale della Città di Firenze e di tutti i suoi domini contro "l'ereticale nequizia", vissuto tra i secoli XVI. e XVII, e morto, "con grande opinione", a Firenze (forse in Santa Croce), il 7 luglio del 1603. Dal nome del paese natale, il Padre Francescano era chiamato "Dionigi Costacciaro" (forma nominale latinizzata in "Dionysius Constacciarius"). Portato a termine il corso ordinario degli studi, "Dionige de Costaciaro" (com'è probabile lo chiamassero allora in dialetto) fu destinato a fare il Lettore di Teologia nelle principali Reggenze dell'Ordine. Per quanto d'indole modestissima, non poté, tuttavia, esimersi dagli incarichi, onusti d'onori ed oneri, di cui, l'Ordine stesso, di volta in volta, veniva investendolo. Cominciò, Dionigi Costacciaro, là sua folgorante "carriera" nel 1574, quando fu eletto Ministro Provinciale dei Minori Conventuali per l'Umbria. Nel 1577, presiedette il capitolo generale dell'Ordine, convocato a Costacciaro, ed al quale intervennero più di 300 frati, guidati dal Ministro Generale, Pietro Antonio Camilli da Nocera. Il "Costacciaro" godette fama di grande predicatore, e fu osannato in molte città, tra le quali Ancona, Monaco, ecc. Tra il 1577 ed il 1578 fu investito della carica d'Inquisitore di Siena. Verso la fine del 1578, o ai primi dell'anno successivo, Papa Gregorio XIII lo elevò all'altissima dignità di Inquisitore Generale della Città di Firenze per la Santa Sede. Il 19 novembre del 1594, probabilmente in rappresentanza del Tribunale della Santa Inquisizione, Dionigi Sammattei interviene, a San Miniato, presso Pisa, in qualità di accusatore, al processo a Monna Gostanza, da Libbiano, indiziata di stregoneria e "diavoleria". Lui, l'Inquisitore Generale per l'intero territorio del Granducato, Dionigi da Costacciaro il "terribile", partecipa alle udienze processuali dal 19 fino al 24 novembre. Egli era allora già piuttosto anziano, ma oltremodo sapiente e saggio. Monna Gostanza, probabilmente accusata ",de maliis et facturis", era stata, inoltre, additata quale serva del demonio, ma l'Inquisitore Generale di Costacciaro, uomo dalla mente assai più aperta, illuminata, e duttile, rispetto agli altri giudici, che avevano avuto, fino ad allora, il compito di "mettere alle corde" (e non solo metaforicamente) la donna, riesce a scavare profondamente nella vicenda personale di Gostanza, cogliendo, al fondo del suo animo, debolezze ed errori umani, ma non certo "orrori demoniaci". Con il decisivo aiuto di Dionigi Costacciaro, Gostanza viene, così, scagionata dall'accusa. di stregoneria. Uomo consapevole ed equilibrato, saggio e sapiente, profondo conoscitore della cultura del suo tempo, il "Costacciaro" ottenne molte grazie, prebende e benefici dal Pontefice e dal Granduca di Toscana.
Euro Puletti 

Costacciaro Le spoglie a Firenze
Scoperta la sepoltura dell'inquisitore Dionigi
Costacciaro - Da una tomba terragna  ad una fossa comune di Santa Croce in Firenze: questo il destino delle spoglie mortali del famoso francescano di  Costacciaro che, tra il XVI e l’XVII secolo, fu inquisitore generale della città di Firenze e di tutti i suoi domini, "contro 1'ereticale nequizia". A risalire al luogo della sepoltura di padre maestro Dionigi (Dionisio o Dionizio) Sammattei da Costacciaro, francescano minore conventuale, è stato, Euro Puletti, assessore, alla Cultura del Comune di Costacciaro, che si é rivolto al suo collega fiorentino, 1'assessore Simone Siliani, e al Servizio Musei Comunali di Firenze. Da qui il prezioso contatto con la professoressa Carla Guiducci Bonanni, presidente dell'Opera di Santa Croce di Firenze, che ha risposto al quesito storico: "Si può confermare che, da un Libro dei Morti, conservato in archivio "Maestro Dionizio da Costacciaro", Inquisitore, risulta "sotterrato" in Santa Croce 1'8 luglio 1603, ma non si specifica il luogo. Sappiamo che tutti i defunti del Terz'Ordine venivano sepolti in due tombe nel mezzo della Chiesa. Nel 1760, essendo piene, furono sigillate e ne vennero aperte altre due nel Chiostro. L'ipotesi è che anche Dionizio sia finito nella fossa comune". L'ipotesi, a suo tempo avanzata dal dottor Puletti, ha trovato piena conferma: le ossa giacciono tuttora a Santa Croce in Firenze.




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Le più antiche famiglie e condomini del Montecucco


Le più antiche famiglie e condomini del Montecucco
Sembra che, in origine, le famiglie facenti parte dell’Università degli Uomini Originari di Costacciaro fossero divise in due gradi. Del primo grado, facevano forse parte le vere "schiatte" originarie, mentre, dell’altro, quelle che si erano affrancate in epoche successive. Questa deduzione può, però, trovare un argomento a sfavore nel fatto che, in cima alla lista nominativa, stilata nel 1851 o 1852, figura la famiglia Chemi, più onorata e possidente che antica (a Costacciaro, il primo membro, finora conosciuto, di tale casato, fu Francesco di Chemo, a. 1625. Da ultimo, va ricordato Monsignor Felice Chemi, padre spirituale e confessore del Seminario Diocesano di Gubbio nel XX secolo).
L’insediamento dei Chemi a Costacciaro non può, infatti, retrodatarsi oltre i secoli XVII-XVIII. Nel 1886, stando a quanto riportato dall’allora Archivio Parrocchiale, i Chemi possiedono, a Costacciaro, oltre all’omonimo palazzo, l’Aia Chemi, la Fornace Chemi (forse l’attuale Fornace, attigua al Palazzo Fantozzi lungo il Fiume Chiascio) e le località rurali Trebbio Primo, Trebbio Secondo e Trebbio Terzo. Il criterio del grado potrebbe, dunque, essere stato maggiormente legato allo status sociale ed al censo.
Antichissime e possidenti erano (o lo sono ancora), invece, senza dubbio alcuno, le famiglie Aliberti (nel 1886, posseggono i Predi Aliberti), Andreoli (gli Andreoli potrebbero essere i discendenti di un tale "Andreolus", che è un diminutivo di Andrea, nome proprio di persona portato da un certo Andreòlo da Costacciaro, uomo ricco, che, il 20 giugno 1440, donò 72 fiorini d’oro alla chiesa di San Lorenzo), Bernabei (tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, la famiglia Bernabei si pone a capo d’un movimento irredentista, interno alla municipalità paesana, e finalizzato a svincolare Costacciaro dalla dipendenza eugubina.
Fra i membri più prestigiosi di questa famiglia, vanno annoverati: Francesco Andrea Bernabei, francescano minore conventuale, il quale fu stimato scrittore di geografia, aritmetica, cosmografia e precursore della pedagogia moderna [secc. XVIII-XIX], il politico e deputato costacciarolo Carlo Bernabei [frate francescano minore conventuale?], sec. XVIII, Vincenzo Bernabei, uditore della Repubblica di Genova e Francesco ed Antonio Bernabei, entrambi ministri provinciali dei frati francescani minori conventuali nel XIX secolo). Intorno al XVII secolo, uno dei Priori di Sigillo, cioè uno dei "capi del comune", era Feliciano Bernabei, forse abitante od oriundo di Costacciaro. Nelle immediate vicinanze di Costacciaro, almeno fino all’anno 1886, esisteva ancora una probabile, antica proprietà di tale ragguardevole famiglia: l’Aia Bernabei.
Antiche ed importanti furono, ancora, le famiglie Ronconi (da tale famiglia ebbero, fra gli altri, i natali il segretario comunale Angelo Ronconi, nell’Ottocento, ed Armando Ronconi, sindaco di Costacciaro nel Novecento), Boldrini (un tal Boldrino è già citato, a Costacciaro, sotto il dì 31 luglio 1382) e Bontempi (fra i soggetti costituenti quest’ultima, molto erudito fu il minore conventuale, del secolo XIX, Padre Maestro Tommaso (o Tomasso) Bontempi, padre provinciale dell’ordine nel 1817; questi collaborò, assai utilmente, alla redazione della famosa vita del Beato Tomasso di Fra’ Bonaventura Bartolomasi, scoprendo, tra l’altro, la pergamena, del XV secolo, in cui erano contenute le prime note biografiche sul Beato, scritte a pochi anni dalla sua dipartita). Padre Bontempi, inoltre, mise insieme le prove documentarie attestanti il legittimo diritto di proprietà degli Uomini Originari sul Monte Cucco. L’otto maggio 1810, presentandole al delegato prefettizio, signor Coltellini, Padre Bontempi riuscì, così, a scongiurare un pretestuoso tentativo d’espropriazione dei beni dell’Ente.
Vi furono, poi, e vi sono ancora, i Mariani ed i Vergari. Del ceppo degli Achilli, fu famoso, sul piano religioso, Michele Vergari, ministro provinciale dei frati francescani minori conventuali nel XVIII secolo, il quale, come si desume dal seguente brano, fece erigere, a sue spese, la chiesa della Mastradella, che "[ ...] fundata fuit annis 1690 et 1691 sumptibus sacerd. Michaelis Angeli Vergari de patronatu familiae Vergari ex masculina progenie q.m Octavi Antonii fratris dicti sac.". In seno alla famiglia Vergari, di tale tradizione francescana, fiorentissima a Costacciaro sin dal XIII secolo, non va dimenticato un degno erede, a noi contemporaneo: Padre Fernando Vergari, nato a Costacciaro il giorno 27-III-1937. Sul versante civile, va, invece, rammentato Achille Vergari, sindaco di Costacciaro nel 1878. I Vergari de Béla potrebbero, invece, discendere da quell’enigmatico Berardellus o Belardellus, forse membro della nobile ed antichissima famiglia eugubina dei Berardelli (Béla può, infatti, risalire al nome proprio di persona Bela-rdellus, ed i Béla, in effetti, sono sempre stati in possesso di proprietà terriere a Colmartìno), il quale possedeva un’importante domus a Colmartìno, già nel XII secolo. Onorevoli furono, altresì, i Guidarelli: Don Francesco Guidarelli fu, fra gli altri, ammirevole e solerte sacerdote costacciarolo dell’Ottocento. Appartenente all’Università degli Uomini Originari di Costacciaro, commissionò al pittore cagliese Simone Cacciabovi, dietro benigna concessione del Vescovo eugubino, Monsignor Vincenzo Massi, lo splendido dipinto del Beato Tomasso, un tempo presente nella sacristia del santuario della Madonna delle Grazie di Costa San Savino, caldeggiò la costruzione dello stesso santuario mariano e sovrintese scrupolosamente ai suoi lavori, assistendo, inoltre, da attendibilissimo testimone oculare, al miracolo, consistente nello scaturire della sorgente dell’attuale Fosso de la Madonna, da un arido scoglio, esistente proprio sopra il santuario.
In questa elencazione delle antiche famiglie che componevano l'Università degli uomini originari di Costacciaro impossibile sarebbe non citare i Grasselli, i Brunori ed i Fabiani (Vincenzo Fabiani, figlio di Pietro, fu sindaco di Costacciaro nel 1861). Molte di queste famiglie, come i conti Fabiani, sono di sicura origine eugubina, nobile, o comunque, possidente, o, soltanto, molto antica: Armanni, Fabiani, Brunori (con quest’ultimo cognome, a Gubbio fu famoso un pittore), Andreoli (mes. Francesco Maria Andreoli, costacciarolo, a. 1625).
L’onorevole famiglia Andreoli, ora estinta, ed a un cui membro è dedicata una via di Costa San Savino, era ancora attestata, dal registro parrocchiale di Costacciaro, nel 1886. Assai rimarchevole fu, inoltre, la famiglia Boldrini (Bernardino Boldrini fu un letterato universitario e francescano minore conventuale del secolo XVI, che partecipò, da protagonista, niente meno, che al Concilio di Trento). Da non trascurare i Mariani (il 22 gennaio 1378 ser Matteo Mariani è capitano del castello di Costacciaro, mentre per il 19 giugno 1427, è ricordato il possidente costacciarolo Franceschino di Mariano) ed i Grasselli (a tale antichissima famiglia condomine appartenne, niente meno, che il beato Tomasso da Costa San Savino [1262-1337]).
Non presenti nel citato elenco, perché estinte prima del 1852, le nobili e/o ragguardevoli famiglie Armanni ("Nel marzo dell’anno 1166, imperando Federico I Barbarossa, Raimundus Armanni [quasi sicuramente di Costacciaro, N.d.A.] dona alla canonica di S. Mariano tre modioli di bosco in località Palastro [forse l’attuale vocabolo rurale costacciarolo Palazzo], che confinano con i beni di S. Andrea de Insula [Filiorum Manfredi, N.d.A.]") e Guelfoni, le più antiche, potenti e nobili di Costacciaro nel Medioevo, entrambe di possibile ascendenza langobarda. Nell’età dell’Umanesimo, e, ancor più, in quella del Rinascimento, si distinguono i Massarelli (tale famiglia dette i natali, nel XV secolo, a Massarello Massarelli, grande erudito; da ricordare, nel 1584, Angela Massarelli, committente della pala d’altare della chiesa di Santa Maria della Neve a Ràncana) e i Fauni (come non ricordare il capostipite Mariozzo o Mariotto Fauni [un cui discendente diretto Pietro di Mariozzo Fauni ottenne la cittadinanza eugubina il 31 dicembre 1547] ed i vescovi Bonaventura Pio, Pietro Fauni, come non citare, inoltre, il teologo, del XVI secolo, Flavio Fauni, il Ministro Provinciale dei Frati Francescani Minori Conventuali, per il 1547, Jacobus Fauni (Jacopo Fauni), l’illustre uomo d’arme, del XVII secolo, Francesco Fauni ed il contemporaneo gentiluomo Marcello Fauni, benefattore del "monastero delle Grazie" o di Santa Maria Assunta in Via Nuova il 15 giugno 1628.
In progresso di tempo, ecco segnalarsi i Sammattei, fra i quali fu molto celebre il religioso fra’ Dionisio (nome latinamente reso in Dionysius) Sammattei, francescano minore conventuale, grande predicatore, vissuto tra i secoli XVI e XVII. Un tale Sebastiano Sammattei, costacciarolo, è, inoltre, documentato per l’anno 1625.
Imperdonabile sarebbe dimenticare i Carboni (assai probabilmente membri "onorifici" dell’Università fra i secoli XV e XVII), il cui ultimo rappresentante documentato sembra essere stato, nel 1625, donna [cioè ‘signora’] Claudia Carboni. Di tale famiglia fece parte anche il grande umanista di Costacciaro, messer Ludovico Carbone o Carboni [sec. XVI], conosciuto, a livello nazionale, per i suoi ponderosi ed eruditi trattati di filosofia e diritto. Ed eccoci ai Longhi, il cui ultimo soggetto di rango, citato in un documento d’archivio del 1625, fu, a mia scienza, mes. Tiburzio Longhi. Il suo esponente di gran lunga più importante dovette, tuttavia, essere (secondo l’autorevole parere degli studiosi monsignor Domenico Bartoletti [la cui madre era la costacciarola Benedetta Chemi, al cui nome è intitolato l’astenotrofio Casa Benedetta di Sigillo], sigillano, e del padre provinciale dei francescani minori conventuali, fra’ Giuseppe Bellucci, costacciarolo) il beato francescano fra’ Filippo Longhi, ritenuto, da taluni, oriundo di Costa San Savino, e detto "Il Lóngo", per l’alta statura, settimo compagno di San Francesco).
Si distinsero, altresì, i Lupini, i quali possedevano un palazzetto fortificato (il Palazzo Lupini) a Ràncana, con fondaci medioevali, struttura portante rinascimentale e superfetazioni edilizie del secolo XVIII. La tradizione orale popolare vuole che questa dimora fosse stata costruita dai duchi d’Urbino. Da documenti d’archivio, apprendiamo come il 12 febbraio 1582, sotto la signoria dei Della Rovere, Giovanni Luca Lupini, probabilmente di Ràncana ed abitante nel citato palazzo, fosse capitano del Castello di Costacciaro.
Il nostro breve excursus non tralasci, però, benché estinti, i Valentini (Felippo Valentini, costacciarolo, a. 1625), ed i Piccini (mes. Gregorio Picini, costacciarolo, a. 1625).
Euro Puletti 


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Costacciaro e le sue Confraternite
Un paese vestito in bianco e nero
Introduzione
Il borgo medioevale fortificato di Costacciaro è, ancor oggi, compartito, per così dire, in due sfere d’influenza spirituale: quella della confraternita de “La Nera”, a monte di Corso Mazzini, e de “La Bianca”, a valle del medesimo corso.
Delle confraternite, delle congregazioni e delle compagnie di Costacciaro potevano entrare a far parte non soltanto gli abitanti del castello ma anche quelli delle sue ville (ricorderò qui, soltanto, en passant, Bernardino Puletti [“Belardino”] ed Ubaldo Mascolini [“Baldo de Bubù”] di Villa Col de’ Canali, già affiliati, forse dai primi del ’900, alla confraternita dei Bianchi), come, d’altronde, avviene, ancora oggi, per i cittadini del capoluogo e per quelli delle sue frazioni rispetto alla Congregazione dei Santissimi Dodici Apostoli.
Molte e diversificate erano, nel passato, le opere di misericordia corporale, le liturgie e le sacre rappresentazioni cui le confraternite costacciarole, con estrema diligenza, attendevano.
A Costacciaro, assai significativa è, tuttora, il Giovedì Santo, la sacra rievocazione, in “Coena Domini”, della lavanda dei piedi di Gesù Cristo, solennemente interpretata da tredici individui, appartenenti alla congregazione cosiddetta dei Santissimi Dodici “Apostoli”, che, per essere tali, debbono sottostare a precise regole comportamentali e morali. Un apposito statuto regolamentava, infatti, le attività benefiche assolte da questa “Fraternità”, i membri della quale, con il passare del tempo, divennero tredici, quasi a voler stringersi intorno a Cristo Signore anche con l’altissima figura di San Paolo di Tarso, apostolo, in quanto primo grande diffusore del messaggio cristiano fra le genti del mondo.
La Processione del Venerdì Santo di Costacciaro, rappresentando, così, uno dei più solenni appuntamenti sacri dell’anno, commemora la morte dell’“Uomo dei Dolori”, seguendo le antiche ritualità che erano proprie delle confraternite e congregazioni medievali costacciarole, come quelle, gloriose, “della Nera, o della Buona Morte”, che aveva come tempio di riferimento la chiesa di Santa Maria della Misericordia, e del Crocifisso, o “della Bianca”, il cui centro di gravità spirituale ruotava attorno alla chiesa di Santa Croce e, successivamente, di Santa Maria Assunta in Via Nuova, poi detta “La Bianca”. Tale processione è accompagnata dal canto, solenne e cadenzato, dello “Stabat Mater” e del “Miserere”, intonato, quest’ultimo, in una maniera del tutto singolare, dai cantori del luogo, oggi tutti, straordinariamente, di sesso femminile.
In base ai preliminari risultati della presente indagine, che definirei soltanto “esplorativa”, sono risultate accompagnare il cammino della plurisecolare storia costacciarola ben tredici “pie unioni”, alcune delle quali, però, credo, poco più che nominali.
Questo proliferare di “congreghe”, tuttavia, molte delle quali serissime ed assolutamente importanti, è un altro segno lampante della straordinaria vitalità della comunità cristiana costacciarola, la quale, se oggi appare, purtroppo, defilata e “spopolata”, ebbe, un tempo, notevole rinomanza (in Diocesi e fuori Diocesi) e per l’importanza dei suoi sacri sodalizi e per la capacità, continua, di rinnovarsi e di stare al passo con i tempi, siano essi stati quelli storici o quelli liturgici.
ELENCO DELLE CONFRATERNITE,
DELLE CONGREGAZIONI E DELLE COMPAGNIE
PRESENTI ED OPERANTI A COSTACCIARO ATTRAVERSO I SECOLI
Confraternita della Beata Vergine Maria.
Secondo lo studioso Fabrizio Cece, il quale ha rintracciato un documento del 6 febbraio 1299, o 1300, che la cita, “allo stato attuale della ricerca quella di Maria va senz’altro considerata come la confraternita più antica di Costacciaro”
(cfr. Le origini del Castello di Costacciaro e le più antiche notizie disponibili sulla Chiesa di San Francesco, Comune e Parrocchia, Tipografia Eugubina, Gubbio, agosto 2006, pp. 10-11).
Anonima fraternita dei poveri di Costacciaro.
Tre documenti, datati tra il 1303 ed il 1314, ci informano su alcune offerte fatte al “luogo” dei Frati Minori di Costacciaro. L’ultimo, in particolare, risulta molto importante: il 18 dicembre 1314 frà Giovanni del fu Pietro, Custode dei Frati Minori della custodia eugubina, costituito avanti a Francesco, vescovo di Gubbio, espose che “Alevolus Sabboli Rubeis”, “Matalutia” sua moglie, “Jacomellus Merçarolis”, “Plenaia” sua moglie, tutti di Costacciaro, avevano creato una fraternita tra di loro per servire ed ospitare i poveri. Alevolo avrebbe dovuto spendere in tale iniziativa 100 libbre.
Confraternita Nuova del Castello di Costacciaro, Compagnia della Fraternita del Castello de Constaciaro, o Fraternita de Jesu.
Probabilmente fondata dal sacerdote costacciarolo Don Julio de Pieragnolo da Constaciario,[1] redattore, a partire dal 28 maggio 1531, dello statuto della stessa pia unione, approvato e confermato, dal Vescovo di Gubbio, Monsignor Mariano Savelli, il 16 gennaio 1575.
L’interessante documento giuridico, composto da tredici capitoli, fu stilato in volgare, mentre priori di tale sodalizio religioso erano Salvatore de Amico e Pietro de Barone.
È possibile che tale confraternita si sia definita “nuova” in riferimento alla più antica “Confraternita della Beata Vergine Maria”.
Confraternita del SS. Crocifisso, del Gonfalone, dei Bianchi, o “La Bianca”.
Probabilmente legata, ab origine, al culto di Cristo Crocifisso e della Vergine Maria,
tale confraternita aveva eletto, come propria originaria chiesa di riferimento,
quella di Santa Croce o del Crocifisso.
La società si trovava eretta, infatti, proprio nell’Altare del SS.° Crocifisso
della Chiesa di Santa Croce.
Alla scomparsa chiesa di Santa Croce, già legata al culto di San Nicola,[2]
ed alla sua confraternita del SS. Crocifisso, era altresì annesso l’omonimo ospedale.[3]
Sede attuale de “La Bianca” è la chiesa di Santa Maria Assunta in Via Nuova,
detta oggi, quasi per antonomasia, “La Bianca”.
Tale chiesetta del monastero benedettino femminile delle “Santucce” di Costacciaro è, adesso, come sopra accennato, affidata alla Confraternita della Bianca,
già detta, nel XVI secolo, “Fraternita de’ Bianchi”.
La via, sottostante alla sede di tale confraternita, assumerà, nei secoli, il nome di Via della Fraternita. “La Bianca” curava, in particolare, l’arredo per i servizi religiosi, processioni del Beato e dell’Assunta.
In un documento datato 20 novembre 1635 (AVG, 19/4 g, cc. 67r-68r), e riferentesi alla Società del Gonfalone, si legge:
“E’ tanto antica che non vi è memoria. Incorporata con l’ospedale di S. Nicolò come da bolle del 1509 e del 1531. Fu aggregata nel 1607 all’Arciconfraternita del Gonfalone di Roma.
I capitoli furono approvati da mons. Savelli nel 1575”.[4] Appare probabile che “La Bianca” sia direttamente derivata dalla “Confraternita Nuova del Castello di Costacciaro”.
Nell’anno del Signore 1787, priore della confraternita de La Bianca di Costacciaro era il Maestro Francesco Venturi, che promosse la realizzazione di una tela raffigurante la Madonna del Carmine (per la Società di Santa Maria del Carmelo?), facendola “inventare” (cioè ‘progettare’) e dipingere da Filippo Adriano Conti di Matelica.
L’ospedale di San Nicola, indicato, ancora nell’’800, dal Catasto Gregoriano, aveva due sedi disgiunte all’interno del circuito delle mura del castello. La prima si trovava vicino alla porta ed alla chiesa di San Marco Evangelista (tra le mura e l’odierno ufficio postale), mentre la seconda era ubicata proprio in cima a corso Mazzini, presso la porta di San Donato, cioè dall’altro lato, rispetto alla strada, della chiesa di San Lorenzo, vicino al monumento ai caduti e, forse, proprio all’interno dell’abitazione del povero cavalier Cardino Mattrella
(Graziano Gambucci, in verbis, marzo 2008);
Società di Santa Maria del Carmelo.
È citata in un documento eugubino (AVG, 19/4 g, cc. 68v-69r), datato 21 novembre 1635, nel quale si dice che: “Diana Andreoli è priora della Società. Fu fondata nella chiesa di San Marco ed aggregata a Roma con bolla del 1606”.
Un suo altare, tuttavia, si trovava anche, e forse già precedentemente, nella Chiesa di Santa Croce. Nella nicchia di detto altare vi era la statua scolpita della Madonna;
sulla sommità della nicchia c’era, inoltre, dipinta la Vergine con molti angeli sui lati.
Da quest’ultima chiesa, la sede della società dovette spostarsi nella chiesa de “La Bianca”, dove ritroviamo una tela settecentesca raffigurante la Madonna del Carmine.
Confraternita della Buona Morte, dei Neri, o “La Nera”,
o Società della Misericordia o della Morte.
Eretta, nel nostro paese, l’anno 1607, sotto il Pontificato di Papa Paolo V,
con chiesa di riferimento, quella di Santa Maria della Misericordia.
Il cardinale diacono Odoardo Farnese, protettore della stessa Arciconfraternita romana, insieme al procuratore di quella costacciarola, il signor marchese Ludovico Ottoni di Matelica, aggregarono quest’ultima, con apposito decreto, a quella, primaria, di Roma.
Nel 1861, come tutte le confraternite religiose che detenevano beni, “La Nera” passa sotto il controllo della Congregazione di Carità, voluta dal neonato Regno d’Italia.
Nel 1937, in considerazione della sua gestione fallimentare, dovuta, essenzialmente, a mancanza di fondi, essa viene commissariata, con decreto, dal vescovo diocesano Beniamino Ubaldi, il quale nomina, per proprio commissario vescovile, il padre francescano Giuseppe di Prinzio, investendolo dell’esplicito mandato di sistemarne il bilancio e di definire la questione degli oneri di culto.
Sotto il fascismo, con il Concordato tra Stato e Chiesa, tutte quelle confraternite,
aventi esclusivo fine di culto, vengono riassorbite, in quanto a funzionamento ed amministrazione, nel seno della Chiesa.
È così che, con regio decreto del 1° Novembre 1940, la confraternita della Buona Morte di Costacciaro torna sotto il diretto controllo della Diocesi di Gubbio.
Nel 1948, “La Nera”, assieme a tutte le altre pie unioni della nostra Regione, per disposizione dei vescovi dell’Umbria, viene “riordinata”, cioè dapprima sciolta e, poi, straordinariamente commissariata dal parroco locale.
Negli anni immediatamente successivi alla guerra ritroviamo, così, spesso il nome del parroco padre Angelo Gubbiotti, citato nei verbali delle sedute della confraternita
de “La Nera” e della pia Congregazione dei SS. Dodici Apostoli.
Chi professa teorie eretiche, si legge in una delibera della nostra confraternita, conservata nell’archivio parrocchiale di Costacciaro, non può appartenere ad alcuna confraternita, ma, solo se apertamente ricredutosi, può essere iscritto a queste sacre adunanze.
“La Nera” si occupava, principalmente, in origine, della visita agli infermi, del trasporto (“accompagno”) dei defunti, e della retta conduzione d’una vita cristiana.
Oggi, “La Nera”, non più attiva con i variegati scopi per cui era sorta in origine, esprimendo i valori migliori d’una tradizione plurisecolare, entra in scena, con grande apparato costituito da vesti nere (con stemma dalla parte del cuore), lampioni (o “lanternoni”), candele e ceri, croce e crocefisso, nell’occasione dei vari cortei sacri, e, in specie, durante la solenne Processione del Venerdì Santo.
Congregazione dei SS. Dodici Apostoli.
Eretta, nel XVII secolo (pare sotto il dì 5 Agosto 1674), dal Capitano Felippo Valentini[5] e da Don Pietro Carboni[6] e Pier Francesco Pascolini, già fratelli della Compagnia del Gonfalone, con chiesa di riferimento quella di Santa Croce, sede originaria della Confraternita del SS. Crocifisso o del Gonfalone. Appositi statuti regolamentavano le attività benefiche svolte da queste “Fraternità”, i membri della quale, con il passare del tempo, divennero tredici, quasi a voler stringersi intorno al Cristo anche con l’altissima figura di San Paolo di Tarso, apostolo, in quanto primo grande diffusore del messaggio cristiano fra le genti del mondo. …“L’Apostolo Paolo era sollecitissimo in sovvenire à poveri, essortandoci con ogni fervore à tener memoria d’essi. E ben si vede che detta opera fu gratissima alla Divina Maestà”[7]…
Confraternita (o Società) del SS. Rosario e del SS. Sacramento.
Durante il 1832, la Confraternita del Rosario fu trasferita (da San Marco?) nella Chiesa della Misericordia, ove le fu eretto un apposito altare, la cui principale icona conteneva, al centro, l’immagine di un Angelo discendente dal cielo che incorona di fiori la Vergine Madre. Il Bambin Gesù, esistente in collo alla Vergine, dona la corona a San Domenico.
Intorno vi sono i misteri del Rosario (cfr. AVG, 19/4 g, cc. 54r-57v.).
Secondo un documento del 19 novembre 1635, la Società del SS.° Sacramento era stata, invece, eretta nella chiesa di San Marco (cfr. AVG, 19/4 g, cc. 65v-66r).
Fu, probabilmente, per ragioni organizzative e finanziarie, che le due confraternite,
se pure in origine divise, dovettero essere accorpate.
Confraternita di Santa Maria (Assunta) in Via Nuova.
Mancano, allo stato attuale, sufficienti notizie documentarie su di essa.
Il titolo potrebbe costituire un semplice sinonimo di confraternita del Gonfalone.
Congregazione del Sacratissimo Cuore di Gesù.
Mancano, allo stato attuale, sufficienti notizie documentarie su di essa
Compagnia della SS. Concezione.
Mancano, allo stato attuale, sufficienti notizie documentarie su di essa.
Forse sorta soltanto in seguito alla proclamazione, da parte di Papa Pio IX,
del dogma dell’Immacolata Concezione, l'8 dicembre 1854, con la Bolla Ineffabilis Deus.
Compagnia del Purgatorio.
Mancano, allo stato attuale, sufficienti notizie documentarie su questa compagnia, il cui nome, però, pare contenere già in se stesso un intiero programma d’espiazione dei peccati
Compagnia di S. Antonio Abate dei capi famiglia di Villa Col de’ Canali,
O Congregazione della Chiesa di “Villa Colle de’ Canali”.
Amministrando gli interessi ed i beni della chiesa di Sant’Apollinare,
talvolta in aperto contrasto con l’allora cappellano, sovrintese all’ultimazione dei lavori dell’attuale chiesa di Sant’Apollinare, con i quali, oltre all’ampliamento dell’edificio sacro,
fu eretto, tra il 1882 ed il 1888, l’odierno campanile.
1898 novembre 1
Da un verbale di adunanza dei capifamiglia di Villa Coldecanali (cfr. AVG, 25/22 fasc. 7), alcuni dei quali rappresentati dai propri figli, e che votarono per eleggere l’amministratore Ubaldo Morelli, possiamo desumere tutti i nomi dei membri della detta Compagnia o Congregazione:
1. Angeli Ubaldo
2. Bellucci Domenico
3. Bellucci Giuseppe
4. Bucciarelli Antonio
5. Bucciarelli Giuseppe
6. Bucciarelli Pietro
7. Cinti Rodolfo
8. Cinti Sante
9. Cinti Tommaso
10. Coldagelli Francesco
11. Guidarelli Giovanni
12. Mariucci Giovanni
13. Mascolini Bernardino
14. Mascolini Sante
15. Morelli Amedeo
16. Morelli Domenico
17. Morelli Giovanni fu Paolo
18. Morelli Paolo
19. Pace Vincenzo
20. Puletti Francesco
21. Puletti Giovanni
22. Puletti Salvatore
23. Righi Domenico
24. Righi Pasquale
25. Rughi Agostino
26. Rughi Mariano
27. Viola Giovanni.
Pia Unione della Beata Maria Vergine per la conversione dei peccatori.
Dagli atti di una sacra visita pastorale, compiuta dal vescovo di Gubbio Monsignor Giuseppe dei Conti Pecci, il 9 settembre1851, si apprende che, nella Chiesa della Madonna delle Grazie della villa di S. Savino, il cui rettore era d. Vincenzo Cavicchi, esisteva “la Pia Unione della B.M.V. per la conversione dei peccatori eretta il 15 marzo 1848 e aggregata a Roma in S. Lorenzo in Lucina il 25 marzo 1848” (cfr.: AVG, 19/47, fasc. 14, pp. 13-14).
Tabula gratulatoria
Si ringraziano sentitamente Carlo Vergari, Don Nando Dormi, Graziano Gambucci, Fabrizio Cece e Ruggero Lupini per le notizie che ho potuto trarre, direttamente od indirettamente, dai loro studi.
Alcuni documenti consultati
Ospedale vicino la chiesa di San Marco
Il governo spetta alla Società del Gonfalone come dagli atti di sacra visita del 9 settembre 1842. Ora è luogo “sordidum et neglectum”. Dovrà essere fatta, per esempio, la divisione tra la stanza degli uomini e quella delle donne.
AVG, 19/57, da c. 787v.
Ospedale dei poveri.
E’ posto all’interno del castello ed è diviso in più mansioni. L’ospedale è governato dal Priore e dagli ufficiali della Società del Gonfalone.
AVG, 19/6, cc. 242v-243r.
Grande tela di Virgilio Nucci del 1606
1635, novembre 20
Società del Gonfalone.
E’ tanto antica che non vi è memoria. Incorporata con l’ospedale di S. Nicolò come da bolle del 1509 e del 1531…………………..
E’ dell’ospedale e della Società del Gonfalone; l’icona è su telaio ligneo dorato ed ha dipinte le immagini della Beta Vergine posta al centro, sul lato destro S. Nicola, sul sinistro S. Ambrogio; un angelo posto tra i due vescovi tiene in mano una tabella con l’iscrizione “Capella De l’Hospitale fatta Delle sue Entrate S. Nicolò 1606 S. Ambrosio”.
Santa Croce
Vi sono delle pitture sulle pareti.
AVG, 19/57, da c. 787r..
E’ della Società del Gonfalone e si trova nel castello, vicino il monastero delle monache. Ha una colonna centrale che sostiene la chiesa.
Ha due altari:
Altare del SS.° Crocifisso, nel quale è eretta la società.
Altare della Beata Vergine Maria.
AVG, 19/6, cc. 243r-244r.
……………………
Altare del Carmelo.
Appartiene all’omonima Società. Nella nicchia vi è la statua scolpita della Madonna; sulla sommità della nicchia vi è dipinta la Vergine con molti angeli sui lati.
Altare di San Pietro.
Questo altare prende il titolo per il trasferimento in esso della chiesa di S. Pietro di Rancana.
Il fonte battesimale è posto a sinistra dell’ingresso principale della chiesa.
AVG, 19/4 g, cc. 15r-21v.
Lodovico Ottoni di Matelica
1606, gennaio 16
Procura per aggregare la Confraternita della Morte di Costacciaro all’amonima Arciconfraternita romana.
Alessandro di Mario del fu Francesco “de Mari” di Costacciaro, priore della Società di Santa Maria della Misericordia di Costacciaro, costituisce suo procuratore il sig. Lodovico Ottoni di Matelica, che si trova in Roma, per comparire avanti ai Guardiani dell’Arciconfraternita della Morte di Roma onde richiedere loro l’aggregazione della Confraternita della Morte di Costacciaro.
SASG, Fondo Notarile, prot. 926, c. 11r.
1606, ottobre 26
Procura per aggregare la Confraternita dei Bianchi di Costacciaro all’Arciconfraternita del Gonfalone di Roma.
Berbardino di Bartolla “de Cerisionibus” di Costacciaro, priore della Società del Crocefisso detta la Compagnia dei Bianchi e Mario del fu Francesco “de Mari” nominano procuratore il sig. Lodovico Ottoni di Matelica, dimorante in Roma, onde richiedere l’aggregazione della detta Compagnia all’Arciconfratenita del Gonfalone di Roma.
SASG, Fondo Notarile, prot. 926, c. 76v.
1606, novembre 21
Riunione della società del Crocefisso.
Si riunisce la società del Crocefisso detta dei Bianchi di Costacciaro.
Sono presenti:
- Berardino priore;
- “Marius de Marijs camerario”;
- “Magister Meus de Picinis consiliario”;
- “Franciscus Pacis consiliario”;
ed altri 47 confratelli.
Si procede alla nomina del sig. Lodovico Ottoni quale loro procuratore per richiedere la loro aggregazione all’Arciconfraternita del Gonfalone di Roma.
SASG, Fondo Notarile, prot. 926, cc. 77v-79r.
1635, novembre 23
Chiesa della Misericordia. Appartiene alla Società della Morte e si trova nel castello “prope arcem”. Ha tre altari.
Altare maggiore.
Sull’ornato ligneo (cornice): 1582. Nell’icona sono raffigurati la Beata Vergine con il Cristo morto sulle ginocchia e i SS. Giovanni Evangelista e Maria Maddalena.
Altare della Pietà.
Costruito da quattro anni è posto di fronte all’altare del Rosario e dentro vi è posta “imago sculpta Christi Domini in forma mortui quae statua solet deferri in feretro feria 6 [cioè venerdì] parasceva de sero quando fit solemnis processio per Societatem mortis et haec statua valet pro icona altaris, cuius ornamenti est ligneum non aduch completum quod claudit predictam statuam in concam parietis”.
Altare del Rosario.
Appartiene alla Società del Rosario. L’icona contiene, al centro, l’immagine di un angelo discendente dal cielo che incorona di fiori la Vergine Madre. Il Bambin Gesù, esistente in collo alla Vergine, dona la corona a San Domenico. Intorno vi sono i misteri del Rosario.
AVG, 19/4 g, cc. 54r-57v.
Santa Maria in Via Nuova
Chiesa unita al monastero delle monache. Le pareti hanno cornici in gesso. Vi è un solo altare con ornamento ligneo la cui icona raffigura la Beata Vergine tra gli angeli che ascende al cielo (Assunta); in basso i SS. Benedetto e Caterina V. M. da una parte, dall’altra le SS. Maria Maddalena e Scolastica.
Tra le reliquie vi sono delle maniche di tessuto e in una pergamena è scritto “Questo è della tonica del B. Thomasso”.
AVG, 19/4 g, cc. 59r-62v.
1635, novembre 19
Società del SS.° Sacramento eretta nella chiesa di San Marco.
AVG, 19/4 g, cc. 65v-66r.
1635, novembre 20
Società del Gonfalone.
E’ tanto antica che non vi è memoria. Incorporata con l’ospedale di S. Nicolò come da bolle del 1509 e del 1531. Fu aggregata nel 1607 all’Arciconfraternita del Gonfalone di Roma. I capitoli furono approvati da mons. Savelli nel 1575[8].
AVG, 19/4 g, cc. 67r-68r.
1635, novembre 21
Società di Santa Maria del Carmelo.
Diana Andreoli è priora della Società. Fu fondata nella chiesa di San Marco. Aggregata a Roma con bolla del 1606.
AVG, 19/4 g, cc. 68v-69r.
Rinaldo Ottoni di Matelica
1635, novembre 22
Società della Misericordia o della Morte.
Rinaldo Ottoni protettore, Restauro camerlengo. E’ tanto antica che non vi è memoria. Fu aggregata a Roma. Tra gli ufficiali anche due donne, una delle quali è la priora Virginia Ottoni.
AVG, 19/4 g, cc. 70r-71r.
Cesare Carboni
1635, novembre 22-24
Ospedale di S. Nicola.
Consiste in due case:
una si trova presso la porta di San Marco ed è costituita da tre piani: al piano terra vi sono due stalle; al primo piano tre camere per gli ospiti dotate di sette letti; al terzo piano la scuola dei bambini e i locali per il capitano che qui risiede per conto della città di Gubbio;
l’altra casa si trova nei pressi della porta di San Donato e anche questa è di tre piani: al piano terra i canali e i dolii; al primo il granaio del frumento, al terzo i magazzini.
Inventario dei beni.
I priori sono Cesare Carboni e Francesco di Lorenzo.
AVG, 19/4 g, cc. 72r-73v.
Decreti del vescovo.
AVG, 19/4 g, cc. 76r-84r.
1877 ottobre 28
Delibera della congregazione della chiesa di “Villa Colle de’ Canali”.
In occasione della visita pastorale di mons. Innocenzo Sannibale si riunisce la Congregazione.
Furono presenti:
Bartolomeo Morelli
Mariano Rughi
Benedetto Panebianco
Paolo Morelli
Giuseppe Morelli
Bernardino Puletti
Giovanni Guidarelli
Appollinare Morelli
Giovanni Angeli
Salvatore Morelli
Callisto Cherubini
Pancrazio Coldagelli
Giovanni Frillici
Michele Richi
Bartolomeo Pace
Tommaso Coldagelli
Nella riunione, tra l’altro, viene nominato un amministratore unico per il prossimo triennio nella persona del sig. Bartolomeo Morelli. “Non ostante che il medesimo sig.r Bartolomeo sia affittuario dei beni della chiesa” il vescovo, avendo fiducia in lui, approvò tale nomina.
Il cappellano aveva diritto a 17 mine di grano, misura antica.
AVG, 25/22 fasc. 7
1888 luglio 10
Alcuni abitanti di Villa al vescovo di Gubbio.
“Eccellenza Rev.ma
Villa Col de’ Canali 10 Luglio 1888
La costruzione della chiesa della Villa Col de’ Canali per la grazia di Dio, della SS.a Madre, del Titolare Appollinare e della impareggiabile bontà dell’Ecc.za V. R.ma ha raggiunto il suo termine. Onde è che l’intera popolazione di detta Villa adunata in generale Congregazione e rappresentata dai qui sottoscritti Capi di famiglia, col più vivo desiderio dell’animo suo fa umile premura all’Ecc.nza V. perché si degni recarsi a benedirla il giorno 23 del corrente mese dedicato alle glorie del S. Titolare Appollinare.
AVG, 25/26, n. 7.
1898 novembre 1
Verbale di adunanza dei capifamiglia di Villa Coldecanali.
Alla presenza di d. Domenico Palluconi, parroco di S. Marco di Costacciaro, si riuniscono “i Capi delle famiglie di detta Villa, alcuni dei quali rappresentati dai propri figli”. Si tratta dei sigg.ri:
28. Angeli Ubaldo
29. Bellucci Domenico
30. Bellucci Giuseppe
31. Bucciarelli Antonio
32. Bucciarelli Giuseppe
33. Bucciarelli Pietro
34. Cinti Rodolfo
35. Cinti Sante
36. Cinti Tommaso
37. Coldagelli Francesco
38. Guidarelli Giovanni
39. Mariucci Giovanni
40. Mascolini Bernardino
41. Mascolini Sante
42. Morelli Amedeo
43. Morelli Domenico
44. Morelli Giovanni fu Paolo
45. Morelli Paolo
46. Pace Vincenzo
47. Puletti Francesco
48. Puletti Giovanni
49. Puletti Salvatore
50. Righi Domenico
51. Righi Pasquale
52. Rughi Agostino
53. Rughi Mariano
54. Viola Giovanni.
Si vota per eleggere l’amministratore. Viene nominato Ubaldo Morelli con voti n. 23[9].
Sono incaricati quali controllori Mariano e Pietro Bucciarelli[10].
AVG, 25/22 fasc. 7
Bibliografia e documenti essenzialmente consultati
Congregazione dei SS. Dodici Apostoli, Regola della Congregazione, Preghiere e rituali, Lettera del 1689, Verbali delle adunanze dal 1674 al 1948, Archivio Vergari, per gentile concessione di Carlo Vergari;
Cece, Fabrizio, Le origini del castello di Costacciaro e le più antiche notizie disponibili sulla chiesa di San Francesco, Gubbio 2006;
Cece, Fabrizio, Villa Col de’ Canali e le sue chiese: appunti per una storia (ricerca inedita);
Cece, Fabrizio, Le Chiese di Costa S. Savino: dalla seconda metà del Cinquecento alla seconda metà dell’Ottocento (ricerca inedita);
Dormi, Ferdinando Maria (“Don Nando”), Brevi notizie sulla Confraternita della Buona Morte di Costacciaro (dattiloscritto inedito);
Lupini, Ruggero Peppino, Storia di Costacciaro: antica e moderna – tradizioni popolari, Comune di Costacciaro 1999;
Menichetti, Piero Luigi, Storia di Costacciaro (Castrum Costacciarii), Costacciaro 1984.
Appendice
Una testimonianza orale d’eccezione rivela com’era l’ex chiesa di Santa Croce di Costacciaro
Fino ai primissimi anni ’50 del XX secolo, come ben ricorda l’erudita insegnante costacciarola Anita Gambucci, si conservavano gli ex locali direttivi della Fraternita di Costacciaro, ovverosia della Confraternita del Gonfalone, dei Bianchi, o del Crocefisso, probabilmente insediatasi sul sito della più antica chiesa di Santa Croce o del Crocefisso.
Sulla facciata di quest’edificio, stando alla citata testimone oculare, si aprivano tre portali ad arco. Due, medioevali, identici ed a sesto acuto, costituiti da pietra calcarea del Monte Cucco, immettevano, scendendo qualche gradino, in due contigue, ma distinte e piccole aule chiesastiche, con tanto di altarini e pareti doviziosamente affrescate. Quegli stessi affreschi, poi, uno dei quali rappresentante un “Etterno Padre”, furono trasportati, a massello, in una sala dell’ex convento francescano di Costacciaro. Il terzo portale, più stretto, e meno appariscente degli altri, dava adito, per mezzo d’una scala stretta, ripida ed a gradini di pietra (che finivano con l’occupare quasi metà della via sottostante), al piano superiore, formato da uno stanzone, con volta a botte di mattoni. Il tetto di tale costruzione presentava una grondaia molto sporgente, come si può ancora osservare in tante antiche chiese medioevali.
Euro Puletti
Questioni aperte
Tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo risiedeva, forse, a Costacciaro, una famiglia di Frati Domenicani?
Come si chiamava la fraternità fondata, da Costacciaroli, tra il 1303 ed il 1314?
E’ possibile che la “Confraternita Nuova” vada identificata con la confraternita dei Bianchi?
Qual era lo stemma de La Bianca e quello dell’Ospedale di San Nicola?
Perché gli Ottoni di Matelica furono tanto legati alle due principali Confraternite costacciarole?
Secondo Fabrizio Cece: “il Conte Cesare Ottoni, Signore di Matelica, e i membri della sua famiglia,
fra cui sua figlia Livia, possedevano una casa di proprietà nel Castello di Costacciaro”.
[1] Don Julio de Pieragnolo da Constaciario: redattore, a partire dal 28 maggio 1531, dello statuto della Confraternita Nuova del Castello di Costacciaro, o Compagnia della Fraternita del Castello de Constaciaro, o Fraternita de Jesu, composto da tredici capitoli, mentre priori di tale sodalizio religioso erano Salvatore de Amico e Pietro de Barone. Lo statuto di tale confraternita fu approvato, confermato, dal Vescovo di Gubbio, Monsignor Mariano Savelli il 16 gennaio 1575.
[2] 1592, luglio 15:
Gaspar Johannis Peri de Costacciaro fa testamento e tra l’altro dispone che alcuni beni mobili ed immobili siano destinati “hospitali pauperum et fraternitatis Crucifixi detta la Fraternita de Bianchi”.
1500-1600
De hospitale in castro Costacciari.
“In eccl.a S.mi Crucifixi annexa hospitali suprascripto”
(S. Nicholay)
[3] 1592, luglio 15: Gaspar Johannis Peri de Costacciaro fa testamento e tra l’altro dispone che alcuni beni mobili ed immobili siano destinati “hospitali pauperum et fraternitatis Crucifixi detta la Fraternita de Bianchi”.
1500-1600, De hospitale in castro Costacciari. “In eccl.a S.mi Crucifixi annexa hospitali suprascripto” (S. Nicholay). L’Ospedale di San Nicola di Costacciaro aveva due sedi distinte, una, a più piani ed a diversi vani, situata presso la “Porta di San Marco”, ovverosia nelle vicinanze dell’attuale ufficio postale e l’altra posta nelle vicinanze della “Porta di San Donato”, ossia dell’odierno monumento ai caduti. L’ubicazione di tali edifici, a destinazione d’uso sanitaria, nei pressi delle porte d’accesso al castello, dove più intenso doveva essere l’andirivieni di pellegrini, non può essere considerata affatto casuale
[4] Il Menichetti, alle pp. 71-79 della sua pubblicazione su Costacciaro, ha riservato particolare attenzione alla trascrizione dei capitoli della “Confraternita Nuova del Castello di Costacciaro” datati 1531 e approvati da mons. Mariano Savelli, vescovo di Gubbio, il 16 gennaio 1575. E’ possibile che la “Confraternita Nuova” vada identificata con la confraternita del Crocifisso, detta poi del Gonfalone e quindi dei Bianchi?
[5] Felippo Valentini, Capitano di Costacciaro del XVII secolo, probabile discendente diretto di Stefano Valentini. Nel 1689, alla sua morte, lasciò erede il convento francescano di Costacciaro di 20 scudi di moneta ducale. Felippo Valentini viene già citato in un documento del 1625, come probabile capofamiglia, insieme a vari altri soggetti d’un qualche rilievo, fra i quali Donna Claudia Carboni, forse moglie, figlia o nepote di Ludovico Carbone. Il documento è firmato dall’allora Capitano del Castello di Costacciaro, Francesco Bonfatti (cfr. Fondo Com. Carteggio, busta 45).
[1726]
Risposte al questionario inviato a tutte le parrocchie da mons. Sostegno Maria Cavalli vescovo di Gubbio.
“Cap. 1°
In questa Parochia vi sono Chiese num. sette dentro le porte, due delle quali sono soggette a’ Padri di S. Francesco, cioè
- la Chiesa Archipresbiteriale di S. Marco[5];
- la chiesa delle Monache di S. Maria in Via Nuova;
- la chiesa della Confraternita di S. Maria in Via Nuova;
- la chiesa della Confraternita de’ Bianchi, o Confalone;
- la chiesa della Misericordia, o Compagnia della Morte;
- la chiesa della SS.ma Trinità;
Cap. 3°
Vi è un Ospitale dicono annesso alla Communità e di questo se ne darà notitia in foglio separato.
Vi sono due Confraternite cioè una sotto il nome del SS.mo Crocifisso o Confalone e l’altra della Morte e si riconoscerà il tutto di lor fogli separati.
Vi è una Congregatione chiamata di Dodici Apostoli eretta da Filippo Valentini nella chiesa del Crocifisso o Confalone che si vederà nel foglio sopradetto.
Vi è la compagnia del SS.° Sacramento, senza sacchi.
Cap. 11°.
Nella chiesa di S. Marco vi sono otto sepolture. Due sepolture per i sacerdoti e chierici. Tre della Compagnia del Carmine, due dell’ospidale et una de SS.ri Bernabei.
Vi è il cimitero con chiave e croce, annesso a detta Chiesa di S. Marco.
Nella chiesa della Compagnia della Morte vi è una sepoltura spettante alla Compagnia del Rosario.
[6] Don Pietro Carboni, membro della Congregazione dei SS. Dodici Apostoli di Costacciaro, e/o della Confraternita del Gonfalone (nei verbali delle sedute è, infatti, citata la Chiesa di Santa Croce), e probabile redattore del suo statuto. È possibilissimo che questi sia stato un parente di Ludovico Carbone o Lodovico Carboni.
[7] Dal proemio agli “Statuti della Venerabile Archiconfraternità del Confalone” di Roma.
[8] Il Menichetti, alle pp. 71-79 della sua pubblicazione su Costacciaro, ha riservato particolare attenzione alla trascrizione dei capitoli della “Confraternita Nuova del Castello di Costacciaro” datati 1531 e approvati da mons. Mariano Savelli, vescovo di Gubbio, il 16 gennaio 1575. E’ possibile che la “Confraternita Nuova” vada identificata con la confraternita del Crocifisso, detta poi del Gonfalone e quindi dei Bianchi?
[9] A seguire Agostino Rughi con 2 voti.
[10] A seguire Giovanni Puletti con 4 voti.

Euro Puletti

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Dagli archivi canadesi la storia di un emigrato 90 anni fa
Un’eccellente notizia per la storia contemporanea di Costacciaro, e specie per quella relativa all’emigrazione transoceanica dell’inizio del secolo scorso, mi è recentemente pervenuta, via e-mail, dal Canada. La commissione d’inchiesta numero 346, costituita per fare luce sul naufragio del transatlantico inglese "Empress of Ireland" (Imperatrice d’Irlanda), nave a vapore colata a picco il 29 maggio 1914 nelle fredde acque del fiume San Lorenzo, in Canada, ha infatti casualmente scoperto una serie d’inediti e preziosissimi documenti d’archivio, concernenti tale poco nota tragedia del mare, che, però, fece più di mille morti.
Fra gli incartamenti rinvenuti da Pierre Collins, archivista dell’Università del Québec à Rimouski, e Serge Guay, direttore generale del museo del mare, entrambi membri della suddetta commissione, vi è anche un commovente biglietto originale, proveniente dall’ultimo viaggio del piroscafo inglese. Frugando all’interno di cinque scatole, zeppe di documenti inediti, Pierre Collins, responsabile di tali fondi d’archivio, ha scoperto un dossier intestato al nome del nostro compaesano Nazareno Lupini.
Il cosiddetto "dossier Lupini", da me tradotto dall’inglese, ha mostrato di essere relativo alla richiesta d’indennizzo e risarcimento inoltrata dallo stesso Lupini, naufragato col piroscafo inglese, alla compagnia di navigazione della nave da carico "speronatrice", la norvegese "Storstad". Grazie all’intermediazione del consolato italiano in Canada, e a precise attestazioni della sua identità, cittadinanza e stato civile, sottoscritte a Costacciaro dall’allora sindaco Celso Bartoletti, e dallo stesso Lupini, la pratica poté essere visionata e siglata, per l’autenticazione e legalizzazione della firma, dalla regia prefettura dell’Umbria, dal ministero dell’interno, e da quello degli affari esteri, presso il consolato inglese di Roma, il 20 luglio 1915 e controfirmata dallo stesso console britannico.
Il 22 giugno 1917, all’età di ventiquattro anni, Nazzareno Lupini, figlio di Emiliano, e nativo di Ràncana di Costacciaro, comparirà, poi, nuovamente, di fronte al sindaco Celso Bartoletti, assieme ad un altro naufrago delle nostre zone, Paolo Morelli, figlio di Giovanni, di Villa Col de’ Canali, il quale aveva allora trentadue anni. Con tale "comparizione", Lupini dichiarava d’aver ricevuto danni, morali e materiali, dal naufragio dell’"Imperatrice d’Irlanda", e, firmando la domanda di risarcimento, richiedeva indennizzi e rifusioni, alla presenza dei testimoni Generotti Benedetto di Clito, 33enne, e Alimenti Antonio di Luigi, 69enne. Una circostanza che emerge chiaramente da questi "atti", ma che appare piuttosto inusuale per le vicende relative all’emigrazione umbra nel mondo, sembra essere quella dell’avvio di una pratica, finalizzata ad ottenere un risarcimento, in conseguenza di un naufragio.
Fra gli altri straordinari documenti, scoperti in Canada, esistono anche ulteriori dossier, attinenti a vittime, o sopravvissuti, di nazionalità italiana. Dai vari fascicoli consultati, si evince, infine, come, in quel periodo, la più parte dei nostri emigrati in Canada fosse costituita da minatori, anche se non è ancora ben chiaro dove ed in quale tipo di miniere essi fossero andati a lavorare.
Euro Puletti


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BONAVENTURA FAUNI PIO

Nato a Costacciaro alla fine del XV secolo (e perciò chiamato talora "il Costacciaro" o "il Costacciario"),[1] deve il cognome Fauni al cognato Mariotto Fauni, marito della sorella maggiore Gabriella. Legato da profonda amicizia con i conti Pio di Carpi, aggiungerà in seguito il cognome onorifico Pio, donatogli dal cardinale Rodolfo Pio di Carpi[2] insieme con le sue insegne.
Entrato nell'ordine dei frati minori conventuali attraverso la scuola di Costacciaro e il seminario di Gubbio, dopo il noviziato e la professione religiosa fu studente di filosofia e teologia allo Studio di Padova, dove ottenne il titolo di baccelliere e, ordinato sacerdote, fu "reggente degli studi" prima nella stessa Padova (1528-1534) e poi nella magna domus francescana dei Frari a Venezia (1535-1541). In quegli anni acquisì grande fama predicando in molte città italiane (Genova, Vicenza, Firenze, Napoli ecc.) e insegnando in vari studia come lector (professore) di teologia e filosofia: allo Studium Generale di Perugia, alla Sapienza di Roma (filosofia nel 1527 e teologia nel 1534), allo Studio patavino (con le celebri lezioni sulla dottrina del francescano Duns Scoto). Viene ricordato per il suo carattere coraggioso e risoluto (vir intrepidus), ma anche per l'intelligenza e l'abilità diplomatica: fu infatti apprezzato consigliere e agente di Guidobaldo II Della Rovere in una splendidissima legatio e anzi, pur di compiacere il duca di Urbino, rinunciò anche alla dignità episcopale, almeno per qualche tempo.
Ministro provinciale dei minori conventuali dell'Umbria (1541), ampliò e trasformò in convento un antico edificio nel centro di Costacciaro, divenuto oggi sede del comune e della biblioteca.[3] Nel capitolo generale di Ancona del 1543 fu eletto 49º ministro generale dell'ordine, riconfermato nella carica per altri tre anni con votazione plebiscitaria dal capitolo generale di Venezia nel 1546. In questo periodo (1543-1547) partecipò quale "voce in capitolo" alla prima fase del Concilio di Trentoprendendo parte a numerose congregazioni, distinguendosi particolarmente nelle questioni sulla giustificazione per fede, e per il quale scrisse le Constitutiones reverendiss. patris et domini magistri Bonaventure Costacciarij totius Ordinis min. con. generalis ab omnibus fratribus suis inviolabiliter observande (Spoleto, Luca Bini, 1544). Negli stessi anni s'interessò anche agli studi del giovane frate Felice Peretti, futuro papa Sisto V.[4]
Il 9 aprile 1549 papa Paolo III lo elesse vescovo di Acqui, dove rimase una decina d'anni finché nel 1558 lasciò il governo della diocesi (in cui subentrò il nipote Pietro Fauno) e si ritirò nel convento dei suoi confratelli a Gubbio, di cui aveva fatto restaurare un'ala destinandola a ospitare gli infermi e i predicatori e in cui aveva fatto allestire per sé una stanza-biblioteca con 300 volumi, soprattutto incunaboli e cinquecentine di teologia e patristica. Qui coltivò la sua amicizia con il duca Guidobaldo II Della Rovere, dal quale ottenne l'erezione nella città eugubina del monastero del Buon Gesù delle Clarisse cappuccine. Morì nel convento di Gubbio il 17 gennaio 1562e venne sepolto nella chiesa di San Francesco, dov'è ricordato da una lapide a metà della navata destra e dall'altare da lui fatto costruire in onore di san Bonaventura.

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RELIGIOSI COSTACCIAROLI



     Quasi tutti i religiosi originari da Costacciaro (moltissimi dei quali raggiunsero gradi elevati nella gerarchia ecclesiastica), provenivano dai Minori Conventuali di S. Francesco.
Si apprende dal codice di Fra Giordano (1336) che la Provincia Serafica di S. Francesco aveva nove Custodie.
La IV era la Custodia Eugubina, da cui dipendevano i Conventi di:
Gubbio
Gualdo Tadino
Nocera
Caprignone
Costacciaro
Seguendo la serie cronologica, Costacciaro diede la luce ai:

Ministri Provinciali
Bonaventura Pio Fauni (1541)
Jacobus Fauni (1547)
Dionysius Sammattei (1574)
Bernardinus Boldrini (1577)
Gaspar Baldirenzi (1603 )
Michael Vergari (1700)
Franciscus Bernabei (1800)
Thomas Bontempi (1817)
Anthonius Bernabei (1844)
Josephus Bellucci (1955 )

Vescovi
Bonaventura Pio Fauni (9 aprile 1549)



Ministri Generali dell'Ordine
Bonaventura Pio Fauni (1543 )

Beati
Frà Aegidius Mich. Beccoli (+ circa 1650)

Tra le figure minori, ma importante per l'arte che praticava, vi fu un frate, frà Nicola, espertissimo nelle vetrate decorate: "magister fenestrarum seu pictor", morto circa nel 1590.
Nel 1577 Costacciaro ospitò il Capitolo dell'Ordine a cui parteciparono 300 frati con il Generale dell'Ordine, Pier Antonio Camillo da Nocera.
Questa tradizione francescana continua con le vocazioni più recenti:

Giuseppe Bellucci, nato a Costacciaro il 20‑XI‑1918
Aldo Palazzari, nato a Costacciaro il 20‑II‑1920
Giacomo Morotti, nato a Pechwill (U.S.A.) il 25‑VII‑1930
Luigi Lupini, nato a Costacciaro il 2‑II‑1931,
Fernando Vergari, nato a Costacciaro il 27‑III‑1937

Ecco le biografie dei costacciaroli, religiosi, più famosi:

Bernardino Boldrini
(1600)

Religioso dei Minori Conventuali, fu Maestro di Teologia e Lettore nelle Università di Padova e di Perugia.
Lasciò molti trattati manoscritti di Teologia, e morì in Costacciaro nell'anno 1500
Frà Bonaventura Pio Fauni
(1496‑1562)
Uno degli uomini più insigni di Costacciaro fu il Padre Bonaventura Fauni nato a Costacciaro nel 1496 e morto a Gubbio nel 1562. 
Fu legato da affettuosa amicizia ai conti Pio di Carpi, Leonello e Rodolfo, quest'ultimo Cardinale.
Il cardinale Rodolfo Pio gli donò la sua Arme ed il cognome Pio. Padre Bonaventura Fauni assunse così l'altro cognome (cognomentum) di Pio.
Quasi certamente il giovane Fauni entrò nell'Ordine di Gubbio dove il Padre Mariano Bei aveva fondato un piccolo seminario per raccogliervi vocazioni umbre o del luogo.
Costacciaro faceva parte, con Caprignone e Gualdo Tadino, della Custodia che faceva capo al convento di Gubbio, Caput Custodiae Eugubinae; il Sigillum conservato ancora oggi nel Convento di S. Francesco di Gubbio ne fa fede.
In ossequio alle Costituzioni dell'Ordine e agli Statuti della Provincia Umbra di san Francesco, dopo il noviziato e la professione religiosa, fra Bonaventura fu mandato a Padova dove studiò filosofia e teologia, conseguendo il grado di Baccelliere. In quel giro d'anni fu ordinato sacerdote.
Dal 1528 al 1534 fu Reggente degli Studi a Padova.
Dal 1535 al 1541 Reggente a Venezia, nella "magna domus" o "Cà Granda".
Pur con tali incarichi, e secondo la tradizione dell'Ordine, si dedicò alla predicazione. Da una nota manoscritta (pubblicata in Miscellanea Francescana) risulta che Egli dal 1536 calcò i pulpiti più ambiti e famosi d'Italia (Genova, Vicenza, Roma, Firenze, Napoli).
A Padova insegnò all'Università la dottrina di Scoto, il grande maestro Francescano.
Nel 1541 divenne Ministro Provinciale dell'Umbria.
Nel 1543 fu eletto nel Capitolo di Ancona Ministro Generale dei Frati Minori Conventuali.
Nel 1546 nel Capitolo Generale di Venezia fu riconfermato nella suprema carica con stima e votazione plebiscitarie.
Come Ministro Generale dell'Ordine partecipò dal 1543 al 1547 al Concilio di Trento durante il quale, in questioni di fondamentale importanza, mostrò il suo acume teologico.
Nella Storia del Concilio di Trento di H. Jedin, si trova spesso citato il Padre Bonaventura Pio Fauni affiancato a celebri teologi come il Seripando, il Visdomini, il Musso, il Delfini (questi ultimi tre erano Conventuali).
Nel 1549 mentre predicava la quaresima a San Lorenzo Maggiore di Napoli, lo raggiunse la nomina a vescovo di Acqui da parte di Paolo III' che molto lo stimava.
Governò con saggezza quella Diocesi per dieci anni, fedele all'obbligo della residenza.
Nel medaglione portante la sua effige, nel salone del Vescovato di Acqui, è scritto che fu Generale dell'Ordine dei Minori Conventuali.
Quando lasciò la Diocesi gli subentrò il nipote Pietro Fauni appartenente ‑al clero secolare.
Monsignor Pio si ritirò nel convento di Gubbio dove coltivò l'amicizia col Duca d'Urbino, Guidobaldo II°, del quale fu ascoltatissimo consigliere.
Frutto dei buoni rapporti col Duca fu la erezione in Gubbio del monastero delle Cappuccine detto del Buon Gesù.
A lui si deve la ristrutturazione (a fundamentis) dell'ala del convento di S. Francesco di Gubbio destinata per sua precisa volontà a ospitare gli infermi e i predicatori (1549 ).
Lasciò una cospicua biblioteca di circa trecento volumi (tra incunabuli e cinquecentine) che sono la misura della sua cultura teologica‑patristica e dei suoi interessi.
Il Costacciaro (così era anche chiamato) morì nel convento di Gubbio il 17 gennaio 1562 e fu sepolto nella chiesa di San Francesco dové una breve memoria scolpita lo ricorda, a metà della navata di destra.
Devoto com'era di San Bonaventura fece costruire un altare in suo onore (è quello dove si venera il corpo della Beata Franceschina da Chioggia).
Ringrazio Padre Giacomo Bigoni per le notizie fornite.

Pietro Fauni Costacciaro 


(1524‑9 settembre 1592)
Nacque a Costacciaro nel 1524.
Il 31 dicembre 1547 Magister Davitt q.Nannis magistri Davitti chiese al Consiglio Comunale di Gubbio di concedere la cittadinanza eugubina al giovane signore Petrus Mariocci Fauni da Costacciaro, studente nel Ginnasio di Padova.
Lo presentò come particolarmente degno per i suoi costumi e virtù: ottenne la cittadinanza eugubina con tutti i privilegi e prerogative che ne potevano derivare.
Fu ascritto alla nobiltà eugubina e mantenne l'appellativo "il Costacciaro" per ricordarne l'origine.
Divenne Vescovo di Acqui nel 1559 succedendo allo zio, Padre Bonaventura Pio Fauni. Papa Sisto V ° lo creò poi Vescovo di Vigevano.
Lo Jozzi, nel volume "Il Piemonte Sacro", dice che lasciò Acqui nel 1585. Ma questa data contrasta con quanto è scritto nel medaglione portante la sua effige, nel salone del Vescovato di Acqui: "rinunziò nel 1584".
Pietro Fauni, pur rimanendo poco in Diocesi (dopo il Concilio Tridentino espletò varie missioni per l'Imperatore Massimiliano II° d'Asburgo e per Filippo Il' Re di Spagna) ebbe il tempo per un Sinodo diocesano.
Nel periodo tra i due Vescovati, fu Preposto di S. Maria della Scala in Milano, nel 1582.
Lo afferma un documento presso la Biblioteca Ambrosiana Lettera a S. Carlo.
Nel Concilio Tridentino rivendicò alla Chiesa la sua dottrina unitamente ad altri Padri.
Fu creato Principe del Sacro Romano Impero da Massimiliano II° d'Asburgo, Imperatore Romano e Re di Germania (1527‑1576).
Fu creato Consigliere e Senatore del Ducato di Milano da Filippo II ° d'Austria, Duca di Milano, Re di Sicilia, Duca delle Fiandre, Re di Spagna (1527‑1598).
Ebbe altri incarichi da Rodolfo Il' Imperatore (1552‑1612).
Come Riformatore delle vecchie leggi restituì ai cittadini genovesi, con vantaggio della Repubblica, pace e tranquillità.
Fu ottimo Predicatore, Filosofo; Teologo, Oratore.
Morì nel 1592 a Vigevano, ove nel Duomo, in un maestoso sepolcro in marmo nero, sono conservate le sue Spoglie.
Bonaventura Fauni, suo nipote, si unì in nozze con Vincenza, figlia di Lelio Massarelli nobile eugubino, il 7 febbraio 1597.
Il "curriculum" di questo prestigioso Vescovo è descritto in un dipinto ad olio su tela (dimensioni cm. 78 x 100) la cui riproduzione a colori è inserita nel Volume.
PETRUS.FAUNIUS.COSTACCIARIUS.NOBILIS.IGUVINUS./PONTIFEX. AQUENSIS.DEIN.VIGLEVANENSIS/S.R.I.PRINCEPS.MASSIMILIANI.II AUGUSTI.A.CONSILIIS./ PHILLIPPI.II.HISPANIARUM.REGIS.MEDIOLANI.        ADMINISTER.ET.HUIUS.URBIS.SENATOR/A.RODULFO.II.IMP.
PRAESES.FINALIS.CONSTITUTUS/INTER.PATRES.CONCILII.TRIDENTINI VETEREM.ECCLESIAE.DISCIPLINAM.VINDICAVIT./AC.BONO.
REIPUBLICAE.JANUENSIS.ANTIQUIS.LEGIBUS/RESTITUIT. /ORATOR.
PHILOSOPHUS.TEOLOGUS.AETATIS.SUAE.PRAESTANTISSIMUS./  VIXIT.AN.LXVIII.OBIIT.A.D.MDLXXXXII./EIUS.EFFIGIEM.VETUSTATE.
PENE.DELETAM./MASSARELLUS.MASSARELLIUS.FAUNIUS.TRINEPOS.
RESTITUIT.AN.MDCCLXXXVII. /

Flavio Fauni
(XVI secolo)
Uomo di cultura ed esperto di problemi teologici.
Fu Visitatore dei Canonici Regolari di S. Salvatore nel 1592.

Ludovico Carbone 



(XVI secolo)
Fu contemporaneo del Fauni.
Uomo di notevole cultura, può essere considerato "1'euridito", "l'umanista" di Costacciaro a livello nazionale.
Esperto conoscitore delle lingue classiche, latino e greco, insegnò "nell'almo Gymnasio Perusino".
Come teologo scrisse diverse opere, tra le quale:
De Pacificatione et dilectione inimicorum iniuramque remissione, etc.
Firenze, apud Sermartellium, 1583.
Commentaria in tres libros: de Virginis partu a Sannazaro editos.
Venetiis, apud de Franciscis, 1584.
Compendium absolutissimum totius summae Theologiae D. Thomae Aquinatis; primae partis.
Venetia, apud Zenarii, 1587.
Compendium absolutissimum totius summae Theologiae divi Thomas Aquinatis doctoris Angelici.
Venetia, apud Varisca, 1587.
De oratoria et dialectica inventione vel de locis communibus libri quinque, auctore Ludovico Carbone a Costaciaro, Academico Parthenio, et Sacrae Theologiae in almo Gymnasio Perusino olim publico Professore.
Ventiis, apud Damianum Zenarum, 1589.
Introductio in Sacram Theologiam Lib. VI
Venetiis, apud Varisca, 1589.
Compendium Gramaticae Alvari
Additiones in Gramaticam Clenardi
Tabulae rhetoricae Cipriani
De octo partibus orationis creatione, de arte dicendi, de dispositioni oratoria, de questioni oratoris, de causis eloquentiae Lib. V.
De elocutione oratoria Lib. IV
De officio oratoria
De oratore divino
Additamenta ad loicam Taleti in eiusdem introductionem
Preludia et Tabulae introductionis in logicam, seu Compendium totius logicae Lib. VI
Introductio in philosophiam Lib. IV
De omnium rerum restitutione comprehensa in 192 questionibus
Tractatum de ligibus Lib. XVIII
Introductio at Cathechesim sive Doctrinam Christianam.
Explicatio orationis Dominice
De interiori hominum, vel de ipsius cognitione
De laudibus omnis Christiani
De praeceptis Ecclesiae
Adnotatio ad veram sapientiam acquisendam
De amore et concordia fraterna
Dell'ammaestramento dei figlioli alla Dottrina Cristiana
De republica divisa
De casibus conscientiae
Frà Dionisius Sammattei
(?‑ + 1613)
Era dell'Ordine dei Minori Conventuali.
Terminato il corso ordinario degli studi, fu destinato come lettore di Teologia nelle principali Reggenzie dell'Ordine.
Per quanto modestissimo, non potè sottrarsi ad incarichi onorifici che l'Ordine stesso di volta in volta veniva conferendogli.
Nel 1574 fu eletto Ministro Provinciale dell'Ordine.
Nel 1577 presiedette il Capitolo, convocato in Costacciaro, ove intervennero più di 300 frati con il Ministro Generale dell'Ordine, Pietro Antonio Camilli da Nocera.
Ebbe fama di espertissimo predicatore, e fu applauditissimo in molte città, tra le quali Ancona, Monaco, ecc...
Papa Gregorio XIII° lo deputò, successivamente, Inquisitore nella Città di Firenze, conto la "ereticale nequizia", per la S. Sede. Ebbe molte grazie dal Pontefice e dal Gran Duca di Toscana, che ne apprezzarono lo zelo, la prudenza, la dolcezza che lo distinsero nell'esercizio di quel difficilissimo incarico.
Cessò di vivere ‑in Firenze nel 1613.

Franciscus Andree Bernabei
(19 aprile 1740 ‑ Roma marzo 1823 )
Minore Conventuale.
Resse il Convento di S, Francesco in Gubbio, fu poi Guardiano del Convento dei SS. Apostoli in Roma nel 1782, Custode del Sacro Convento di Assisi nel 1798.
Nel Capitolo celebrato a Trevi nel 1800 fu eletto Provinciale. Fu Consultore della Sacra Congregazione dell'Indice.
Scrisse un volume molto interessante, il Libro dei Fanciulli, in cui anticipa concetti moderni nell'educazione scolastica dell'infanzia. Fu stampato a Roma, con i tipi dello Zempel, 1788.
Scrisse ancora i Ristretti di Cosmografia, Geografia e Aritmetica stampato in Assisi coi tipi di Sgariglia nel 1792.
Scrisse anche un'opera teologico‑filosofica:
Il disinganno a prò della vera Religione, dedotto dalla retta filosofia ecc ....
Stampato da Francesco e Felice Lazzarini, Roma, 1814.




MONTE CUCCO
GROTTA DI MONTE CUCCO














GROTTA DI MONTE CUCCO
MONTE CUCCO: UNA CAVITÀ UMANIZZATA DAL XVI SECOLO LE TAPPE SALIENTI DELL’ESPLORAZIONE SPELEOLOGICA ALLA GROTTA DI MONTE CUCCO
“No, il Tempio dei Cieli non è cosa morta,
perché richiama alle eterne, insoddisfatte aspirazioni umane …
e così sarà vivo fino a che gli uomini resteranno a popolare la terra…”.
G.B. Miliani
Secolo XVI
Le Grotte di Monte Cucco, ufficialmente denominate, nel 1951, con l’autorizzazione della sede centrale del CAI, “Grotte G.B. Miliani del Monte Cucco”, un vastissimo sistema sotterraneo, che si estende per oltre 30 km, raggiungendo la profondità massima di 923 m, hanno avuto una storia, fatta di visite ed esplorazioni, assai complessa e di lunghissimo periodo.
La data più antica, tracciata da un esploratore all’interno della Grotta del Monte Cucco, risalirebbe al 1499, ma l’identità di tale assoluto pioniere cinquecentesco ci è rimasta, finora, del tutto ignota. Vai all’articolo sulla scoperta…
Fu, invece, con tutta probabilità, il nobile colonnello dell’esercito Messer Ludovico Santacroce di Fabriano, che, “Adi 18 de Novembre del 1551”, tracciò, col nerofumo della sua torcia, la prima iscrizione, leggibile e datata, all’interno della Grotta di Monte Cucco.
Nello stesso anno, dovette prendere forse parte attiva alla medesima, pionieristica esplorazione, un illustre costacciarolo: il letterato francescano Padre Bernardino Boldrini, che partecipò, altresì, al Concilio di Trento.
A Ludovico Santacroce e Bernardino Boldrini dovette succedere, di lì a pochi anni, nell’esplorazione della Caverna di Monte Cucco, uno fra i più famosi uomini d’arme cui Costacciaro abbia dato i natali nel corso dei secoli: Messer Ghigi Adramando (o Adromando), il quale, nel Cinquecento, “fu valente capitano di ventura nell’esercito dell’Imperatore Carlo V nelle Fiandre”. All’interno della Grotta, infatti, egli si firmò come “Adromando 1555”.
Secolo XVII “Mutio Flore a dì 11 agosto 1604”: così si firma, col nerofumo della fiaccola, un non meglio precisato esploratore della Grotta di Monte Cucco. La prima notizia certa e documentata, relativa ad un’esplorazione secentesca nella Grotta di Costacciaro, è, tuttavia, quella del 28 luglio 1670, quando quattordici fabrianesi effettuarono un’escursione, da essi definita “gita”, nella Grotta del Cucco (quindi discesero e risalirono, “a polso”, cioè con la sola forza delle braccia, il pozzo d’accesso con l’unico, precario, ed oscillante, sostegno fornito loro dalle grosse funi di canapa dell’epoca). Fra di essi c’era anche il Marchese Dottor Tommaso Agostino Benigni, il quale, l’anno successivo, in occasione del carnevale, tenne un discorso, all’Accademia dei Disuniti, proprio su questa sensazionale escursione sotterranea. Così si esprimeva, pubblicamente, il gentiluomo di Fabriano, circa i corsi d’acqua che si sarebbero originati dalla Grotta di Monte Cucco: “[…] Dal seno di monte Cucco n’escono sette fiumi [...] così è, signori; sette fiumane escono dal seno di monte Cucco [...] quattro di essi rendono orgoglioso il Sentino e tre fanno terribile il Chiaso [...]”.
Secolo XVIII
Nel 1720, tocca, invece, al nobile eugubino Conte Girolamo Gabrielli cimentarsi nell’indagine della Grotta. Egli ci lascerà una dettagliatissima relazione scritta, di qualche decennio successiva (1745), su questa sua discesa, probabilmente spintasi fino all’attuale Sala Margherita, e mai più ripetutasi. Il Gabrielli morì il 15 gennaio 1747 nella sua parrocchia della Cattedrale (con l’ardente desiderio inappagato di ripercorrere, ancora una volta, “con intelletto d’amore”, la sua adorata Grotta di Monte Cucco.
Un altro fondamentale esploratore settecentesco della Grotta di Monte Cucco fu il fabrianese Giovanni Battista Casini. Abate, umanista e naturalista d’eccezione, nato a Castelletta di Fabriano nel 1761, e dimorante nel monastero silvestrino urbano di San Benedetto in Fabriano, Casini fu, probabilmente, il vero e proprio precursore, verso la fine del XVIII secolo, dell’esplorazione scientifica alla Grotta di Monte Cucco. Questi, infatti, intinto com’era di cultura illuministica, dunque apertissimo alle novità della scienza moderna, enunciò, nella sua relazione di visita, principi innovatori di geologia, geomorfologia, biospeleologia, paleontologia e climatologia.
Nel Settecento, dovette esplorare altresì la grotta, assieme, probabilmente, a Massarello Massarelli Fauni di Costacciaro, ed al ricco ed intraprendente marchese eugubino Galeotti della Zecca, il grande erudito e scrittore senese Giovanni Girolamo Carli (1719 - 1786).
Secolo XIX
Molti si calano a visitare la Grotta del Cucco nell’Ottocento. Fra di essi, vanno sicuramente ricordati il grande etnologo perugino Professor Giuseppe Bellucci, l’illustre storico di Gualdo Tadino Professor Ruggero Guerrieri e, soprattutto, il viaggiatore, storico e poligrafo tedesco Ferdinand Gregorovius, il quale rimarrà letteralmente estasiato dalle bellezze sotterranee del Cucco, tanto da affermare di non aver mai veduto nulla di simile in nessun altro luogo sotterraneo anteriormente visitato.
Il vice prefetto Giovanni Battista Locatelli, veneziano, il quale, investito della sua alta carica di magistrato a Gubbio, attorno al 1810, o 1811, morendo, successivamente, linciato dagli eugubini il 3 aprile 1815, dovette, dunque, visitare la Grotta di Monte Cucco nel primo (o, al massimo, secondo) decennio del XIX secolo.
Una comitiva di alpinisti del Club Alpino Italiano, provenienti da Perugia, da Gubbio e da Costacciaro ascese al Monte Cucco nel mattino del 19 agosto 1883, per visitare la caverna aperta nel fianco orientale del monte, caverna popolarmente designata col nome di “Buga de Monte Cucco”. Questa comitiva si componeva, fra gli altri, dei signori Luigi Chemi sindaco di Costacciaro, Giuseppe Giuliarelli assessore, Chiodini A., Costanzi D., Guanciali L., Scardovi E. segretario comunale, Malinconico dott. L. medico condotto, Donati L. di Roma, Miliani V. di Sigillo, residenti in Costacciaro, Marinelli prof. Zenone (professore e, in gioventù, pittore di ceramiche), Baldoni maestro Roberto (?), Scassellati A., Ruspetti G., Corsi A., provenienti da Gubbio, Bellucci prof. Giuseppe, presidente del CAI di Perugia, Purgotti A., provenienti da Perugia.
Tali alpinisti di Perugia e di Gubbio serbarono sempre un gratissimo ricordo delle cortesi accoglienze manifestate loro in Costacciaro e della premura dimostrata, perché l’ascensione del monte e la visita alla caverna riuscissero di loro piena soddisfazione.
Nonostante la “concorrenza” di queste grandi, e rinomate, personalità, sarà solamente Giambattista Miliani, grande esploratore, alpinista, e speleologo di Fabriano, brillante ed innovatore industriale cartario, nonché Senatore del Regno d’Italia e Ministro dell’Agricoltura, che, specie tra gli anni 1889-1890, porterà avanti, con entusiastico spirito positivista, la prima vera esplorazione scientifica della Grotta di Monte Cucco, della Voragine Boccanera e dell’Inghiottitoio Fossile del Boschetto.
Tra il giugno del 1883 e l’aprile del 1892, il Fabrianese Giambattista Miliani, infatti, forse sospinto dall’esempio del citato studioso perugino di tradizioni popolari, Professor Giuseppe Bellucci, inizia, così, l’epopea esplorativa di quello che va, comunemente, sotto il nome odierno di “Ramo Turistico” della Grotta di Monte Cucco. Miliani era un valente alpinista, iscritto alla sezione di Roma del Club Alpino Italiano. Fu proprio alle 303 pagine del numero 58, volume XXV, del bollettino del CAI, stampato ed apparso tra il 1891 ed il 1892, ed intitolato “La caverna di Monte Cucco”, che il Miliani affidò il resoconto delle sue accuratissime, reiterate, e quasi decennali, ricognizioni alla cavità. Miliani sarà, altresì, il primo ad elaborare, e stilare, una precisa cartografia della grande cavità umbra, ed a condurre il primo illustre scienziato, il paleontologo bolognese, e, poi, senatore del Regno d’Italia, Professor Giovanni Capellini e la prima donna, Margherita Mengarini, nella grande sala che perpetua, fino al dì d’oggi, il nome di quest’ultima grande scienziata: “Sala Margherita”. Fedeli compagni d’esplorazione di G.B. Miliani, i quali lo seguirono costantemente in tutte le sue visite alle Grotte di Monte Cucco, furono : Pietro Stazio, Achille Caracci, e Francesco Moscatelli.
Secolo XX
Dopo tali “avanguardie storiche”, occorrerà, tuttavia, attendere molti decenni, perché qualcuno ritorni ad esplorare, con coraggio, metodo e sistematicità, le tante “regioni sotterranee” del Cucco.
Il 20 agosto 1922 la Società Escursionisti di Fabriano (SEF), presidente onorario Giambattista Miliani, mise in opera, lungo i trenta metri dell’inclinato pozzo d’accesso alla Grotta di Monte Cucco, la scala di ferro che, per oltre settanta anni, è stata uno dei fattori determinanti dello sviluppo della speleologia nell’Appennino umbro-marchigiano. La sua presenza si è rivelata, difatti, determinante nel creare interessi e passioni per gli studi carsici ed ha molto facilitato le grandi esplorazioni degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta ed Ottanta dello scorso secolo. Giambattista Miliani, che tanto contribuì ad iniziare le ricerche sul mondo sotterraneo del Monte Cucco, fu uno dei principali fautori dell’impresa, anche mettendo a disposizione la sua rinomata azienda cartaria per acquistare e predisporre il materiale necessario. In occasione dell’evento, venne, inoltre, organizzato, sempre dalla SEF, un convegno di escursionisti, inaugurato, ed aperto, da un discorso dello stesso Miliani, e che vide la partecipazione di oltre 500 appassionati di montagna e grotte. Prima della messa in opera della famosa scala di ferro, sul bordo esterno dell’ingresso alla Grotta di Monte Cucco esisteva ancora il “ceppo d’acera” (molto probabilmente un Acero di monte [Acer pseudoplatanus]), descritto da Miliani (mentre altri scrive, già nel 1884, “faggio”), che consentì, a molte generazioni di esploratori, la discesa dei trenta metri del pozzo d’ingresso, giustamente denominato, ben più tardi, “Pozzo Miliani”. La pianta fu, infatti, già utilizzata, quale ancoraggio naturale, da Miliani stesso, tra il 1883 ed il 1892, e, ancor prima, da Giovanni Battista Casini, a fine Settecento, e da Tommaso Agostino Benigni, nel 1670; quest’ultimo, chiamava dialettalmente l’albero, ancora giovane, “caspa”, vale a dire ‘cespuglio’, descrivendolo come “non più grande d’un braccio”. Quando si seccò (anni Trenta del XX secolo), l’Acero di monte doveva, dunque, contare attorno ai trecento anni d’età.
La nuova scala facilitò moltissimo, come detto, le discese in grotta nel XX secolo. Fra le molte visite esplorative novecentesche della Grotta di Monte Cucco merita, certo, di essere ricordata anche quella compiuta da Efrem Bartoletti il 20 agosto 1922, in concomitanza all’inaugurazione della nuova scala di ferro. Insigne politico socialista, sindacalista e scrittore costacciarolo, emigrato, per fare il “minatore del ferro”, negli Stati Uniti d’America, Bartoletti, con l’abile sua penna, stese, intorno alla Grotta costacciarola, una relazione di visita, scientifica e poetica insieme, in 24 pagine, dal titolo “Un’escursione alla caverna di Monte Cucco”. Il resoconto dell’esplorazione, contiene, nella prefazione, datata agosto 1924, significativi ragguagli sulla storia degli Uomini Originari di Costacciaro, ed è testualmente dedicato “All’on. G. Battista Miliani, continuatore felice dell’arte Cartaria degli avi, alpinista indefesso e studioso di monti e caverne”.
Nell’ anno 1956, furono i perugini Lemmi, Passeri, Cesareo, Mazza, ed altri, a discendere, per la prima volta, nella Grotta e a ripercorrere tutto quello che aveva precedentemente esplorato e rilevato Miliani. La vera esplorazione del Gruppo Speleologico CAI Perugia, tuttavia, iniziò nel corso del successivo anno 1957, vent’anni dopo la morte di Giambattista Miliani, quando, insieme a Leonsevero Passeri, Francesco Salvatori allestì un campo di cinque giorni sulla vetta del Cucco ed esplorò nuovi condotti (“Galleria Perugia”) e, soprattutto, scoprì il “Laghetto Terni” ed il pozzo omonimo.
Francesco Salvatori, Guido Lemmi, Leonsevero Passeri, Giancarlo Viviani, Franco Giampaoli, ed altri, condussero, così, una serie di sistematiche esplorazioni e ricerche che porteranno, in maniera graduale, alla scoperta, ed allo studio, dell’intiero grande, e complesso, sistema sotterraneo del Cucco, esplorazioni e ricerche parzialmente terminate soltanto nel 1978, con la cosiddetta “Operazione Scirca”. Oltre alla Grotta, gli elementi di punta del Gruppo Speleologico CAI Perugia percorreranno, esplorativamente, in quegli stessi anni, e fra i primi, in assoluto, d’Italia, anche la precipite e suggestiva Forra di Rio Freddo.
Mercoledì 2 aprile 1969 (anno fatidico in cui l’uomo pose il piede sulla luna), alle ore 17, Stefano Arzilli, Franco Giampaoli, e Gianni Melis, membri del gruppo speleologico CAI di Perugia, dopo due anni di risoluti tentativi, toccano, finalmente, il fondo della Grotta di Monte Cucco. Una parete fangosa del livello di base della cavità, delimitante un chiaro specchio d’acqua cristallina, venne, così, incisa con i loro nomi di scopritori. La Grotta del Cucco diventò, poi, record mondiale di profondità il 23 luglio del 1974, quando il Professor Francesco Salvatori, e la sua compagna Cleofe Leoni, “stapparono” l’ingresso più alto della Grotta, successivamente denominato “Pozzo del Nibbio”. Al nome di Giambattista Miliani, vero e proprio nume dell’esplorazione scientifica alla Grotta di Monte Cucco, gli speleologi del CAI di Perugia vollero consacrare anche l’intitolazione del fiume sotterraneo della gran cavità umbra: il “Torrente Miliani”, che, una volta venuto a luce, dà origine alla copiosa, ed arcinota, risorgente carsica di Scirca. È così che sia l’inizio (pozzo d’ingresso) sia la fine (più noti) della Grotta del Monte Cucco eternano, oggi, nel nome, quel pioniere, al cui esempio, ed alla cui grande suggestione, si deve, maggiormente, la ripresa delle indagini speleologiche, in profondità, all’interno della Grotta, nel corso degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Con gli speleologi di Perugia, circa ottant’anni dopo, Miliani toccava, così, idealmente, la cima ed il fondo della sua adorata “Caverna di Monte Cucco”.
Gli anni Ottanta del passato secolo portarono piuttosto bene alla speleologia sul Cucco. In quel decennio, infatti, furono scoperte, in successione, la “Buca delle Bestie” o “di Faggeto Tondo”, l’“Abisso Puro” o “del Boschetto” e si trovarono estese prosecuzioni alla “Grotta degli Eugubini” o “Buca della Valcella”. Gli anni Novanta del XX secolo passarono, invece, senza grandi e sostanziali scoperte, tranne, forse, su un altro contiguo rilievo del massiccio, il Monte Le Gronde, per quella della “Buca dell’Acqua Pàssera” da parte del Gruppo Speleologico di Gualdo Tadino.
Da allora ad oggi sono per lo più gli speleologi Umbri ad effettuare esplorazioni nella Grotta di Monte Cucco.
Secolo XXI
Tra le più importanti scoperte di questi ultimi anni, c'è sicuramente quella di "Buca Futura", scoperta ed esplorata da un team congiunto di speleologi umbri.
Nella primavera del 2009, la Grotta di Monte Cucco, quella che, con l’autorizzazione della sede centrale del Cai, assunse, a suo tempo, il nome di “Grotta G.B. Miliani del Monte Cucco”, è stata ufficialmente aperta alle visite turistiche, scientifiche e didattiche.
Nel 2011 dopo numerosi anni di lavoro da parte di speleologi provenienti da tutta Italia, la Grotta si apre ancora una volta , svelando una nuova diramazione denominata "Cucco Libero" che, oltre a regalare un nuovo fondo di ben 927 metri e numerosi pozzi e gallerie, attualmente è ancora in esplorazione lasciando libero un nuovo capitolo della lunga ed appassionante storia delle esplorazioni della Grotta di Monte Cucco.
Euro Puletti

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La famiglia "MATTRELLA" risulta radicata nel territorio del comune di Costacciaro gia' dal 1796 con MATTRELLA TOMMASO . ( come si evince dagli atti del "consiglio" sotto descritti) 
ASP, ASCC, Atti del Consiglio, reg. n. 6, 1796 ott. 28,
cc. 119v - 122r
Al Nome di Dio Amen = Adì 28 Octobris 1796.
In vista della risoluzione presa nella Congregazione celebrata
sotto il dì 24 del corrente, e rispettivamente d’ordine dell’Ill.
mo Magistrato fu convocato, e radunato il popolare Consiglio
nella sala del Nobil Sig. Camillo Massarello Massarelli
Pio Fauni, destinata per maggior comodo e nella quale intervennero
i seguenti: Ill.mo Sig. Giudice”
Ill.mo Sig. Giuseppe Pifari Capo di Magistrato
Ill.mo Sig. Bernardino Vergari - Secondo
Ill.mo Sig. Paolo Bontempi - Terzo
Ill.mo Sig. Bernardino Coldagelli - Quarto
Ill.mo Sig. Arciprete Bernardino Mariani = Ill.mo Sig. Arciprete
Michele Baldirenzi
Reverendo Sig. D. Pietro Cenciatti = Reverendo Sig. D.
Ubaldo Tomassoni = Illmo Sig. D. Martino di Sotto-Vico =
Reverendo Sig. D. Giuseppe Bartoletti = Reverendo Sig. D.
Giovanni Bartoletti = Reverendo Sig. D. Domenico Vergari =
Reverendo Sig. Francesco Andreoli.
Ill.mo Sig. Uditor Luca Bernabei = Ill.mo Sig. Marcantonio
Crivelli.
Antonio Conti = Ubaldo Ficattolo = Angelo Felice Amici =
Pietro Vergari = Ubaldo Castellani = Nicola Aliberti = Lorenzo
Boldrini = Antonio Cianfichi = Antonio Bontempi = Marco
Gambucci = Pietro Baldassini = Bernardino Gambucci = Carlo
Gambucci = Francesco Boldrini = Sabatino del quondam
Marco d’Angelo = Carlo Sabatini = Bartolomeo Generotti
= Ubaldo Vergari = Antonio Angeli = Giuseppe Vergari =
Ubaldo Chemi = Alesandro Vergari = Domenico Giacobini =
Bernardino Aluigi = Francesco Pietro Ceccarelli = Francesco
Agostinucci = Pietro Nardi = Francesco Ronconi = Marco Ribacchi
= Antonio Tomassoni = Vincenzo Cavicchi = Francesco
132
Gambucci = Girolamo Ramacci = Ubaldo Alimenti = Fortunato
Mancini = Ottavio Alimenti = Francesco del quondam
Giacomo Generotti = Michele Pagnani = Giuseppe Alimenti =
Marcello Fiorucci = Giovanni Cianfichi = Domenico Ribacchi
= Marino Ricciardi = Francesco Ceccacci = Giuseppe Ceccacci
= Filippo Rugo = Giovanni Maria Bugliosi = Francesco di
Pietro Ricciardi = Bartolomeo Morelli = Carlo del quondam
Sante = Giovanni Maria Panbianco = Nicola Gambucci = Tomasso
Mascolini = Michele Rigo = Antonio Dicini = Francesco
Monteneri = Vincenzo Rigo = Giovanni Puletti = Tomasso
Mascolini = Francesco di Guido = Ubaldo Coldagelli
= Pasquale Mascolini = Silvio di Rugo = Domenico Rugo =
Sebastiano Guidarelli = Pietro Filippini = Francesco Mascolini
= Carlo Cuccagna = Marc’Antonio Guidarelli = Francesco Scarinci
= Pietro figlio di Biagio =Alesando Brunori =Giovanni
del quondam Domenico = Carlo di Maurizio = Mateo Rosi =
Agostino Giacometti Bartolomeo Sorce = Bernardino Rosati
=Tomaso Sagrafena = Bartolomeo Boldrini = Agostino Troiani
= Sebastiano Lupini = Agostino Filippini = Paolo Bugliosi =
Francesco Fugnanesi = Antonio Trecciola = Giovanni Bellucci
= Alessandro Bellucci = Ippolito Vergari = Benedetto Pambianco
= Lorenzo del quondam Giuseppe = Mattia Bugliosi = Giuseppe
del quondam Cesare= Andrea del quondam Francesco
= Giuseppe di Francesco Vagni = Antonio Storti = Giovanni
Barbaccia = TOMASSO MATTRELLA = Simone Santinelli = Ubaldo
Galli = Egidio Flussi = Carlo Pambianco = Patrignano Filippini
= Mario Veschi = Paolo Pompili = Vincenzo Scarabotta =
Mattia Mariucci = Ubaldo Luchetti = Domenico Bellucci.
Quali tutti così adunati, e congregati invocato prima il Divino
ajuto l’Ill.mo Sig. Capo di Magistrato disse: Sono State incomodate
le SS.LL. affine di renderle noto essere qui state trasmesse
alcune stampe e Istruzioni , e diverse Notificazioni emanate per
ordine espresso di Nostro Signore per la difesa della Santa Religione,
e dello Stato nelle presenti calamitose circostanze.
In vista delle premure della stessa Santità sua, ed in sequela di
dette notificazioni, e precisamente in vigore di veneratissima
circolare in data lì quatordici corrente, con cui la Santità Sua
133
invita l’Amore di tutti i suoi amatissimi sudditi a voler far
contribuire qualche offerta per sostenere la suddetta difesa.
Per venire ad uno stabile progetto, fu pensato convocare una
particolare Congregazione dei Signori Sacerdoti, Secolari, e
Regolari ed altri e, nella quale fu di comune consenso risoluto
doversi fare l’offerta al Santo Padre di due soldati con passare a
quelli il consueto soldo durante la guerra, e questo da incominciare
dal Primo Gennaio anno prossimo a venire 1797.
Tal risoluzione si deduce a notizia delle SS.LL. affine voglino
degnarsi dichiarare quale, e quanta Somma a seconda delle
proprie forze, e condizioni voglino somministrare per il suddetto
mantenimento dei due su indicati soldati da doversi
come sopra si è detto presentare, ed offrire al Nostro Immortale
Santo Padre in nome di questa nostra Comunità ed intera
Popolazione provisti di armi, e molitura. Animati dal zelo,
che in tutte le SS. LL. sappiamo essere si per la difesa della
nostra Santa Religione, del Principato, e delle nostre respettive
famiglie e sostanze, si spera, che saranno tutti per benigna
memoria a concorrere con quelle elemosine che le verrà permesso
a seconda del respettivo proprio stato.
Ciò inteso da tutti i Sovraintervenuti e descritti Signori, e ravisata,
dopo maturi discorsi, la causa di somma conseguenza,
e che trattasi di doversi difendere la Nostra Santa Religione,
e ribattere a quelli che temerariamente la vogliono annullata,
tutti risolverono, ed approvarono di doversi fare la presentazione,
e l’offerta del soldo per il mantenimento di due soldati,
e questa da pagarsi ogni anno durante il presente armamento,
per il che fare li Suddetti Signori Congregati ciascheduno di
sua deliberata e spontanea volontà offra e si obblighi pagare
come qui sotto si dirà; cioè
Il Sig. Clemente Petrini Giudice della Terra di Costacciaro
offre paoli dodici sul suo annuo onorario di scudi ventiquattro,
sollito pagarli la Comunità come Giudice, ed altrettanti
sull’onorario di scudi quindici che la stessa Comunità le da
come segretario che in tutto sono paoli ventiquattro all’anno
durante il presente armamento, e questo da incominciare nel
prossimo mese di gennaio 1797.
134
L’ill. mo Sig. Giuseppe Pifari offre pagare paoli dieci all’anno
durante il presente armamento
Ill. mo Sig. Arciprete Bernardino Mariani offre paoli venticinque
all’anno durante il presente armamento
Ill. mo Sig. Arciprete Michele Baldirenzi offre paoli quindici per
una sol volta
Sig. Bernardino Vergari Secondo Priore offre bajocchi quindici
all’anno durante il presente armamento
Sig. Paolo Bontempi Terzo Priore offre bajocchi quindici
all’anno durante il presente armamento
Sig. Bernardino Coldagelli Quarto Priore offre paoli dieci
all’anno durante il presente armamento
Reverendo Sig. D. Pietro Cenciatti offre paoli quindici per una
sol volta
Reverendo Sig. D. Ubaldo Tomassoni offre paoli cinque per
una sol volta
Reverendo Sig. D. Martino Sotto-Vico offre scudi due per una
sola volta
Reverendo Sig. D. Giuseppe Bartoletti offre paoli otto all’anno
durante il presente armamento
Reverendo Sig. D. Giovanni Bartoletti offre paoli dieci all’anno
durante il presente armamento
Reverendo Sig. D. Domenico Vergari offre paoli cinque per
una sol volta
Reverendo Sig. Francesco Andreoli offre paoli dodici all’anno
durante il presente armamento
Ill.mo Sig. Uditor Luca Bernabei offre paoli quindici all’anno
durante il presente armamento
Antonio Conti offre bajocchi cinque all’anno durante il presente
armamento
Ubaldo Ficattolo offre bajocchi sei e due quattrini per una
sol volta
Angelo Felice Amici offre paoli cinque all’anno durante il
presente armamento
Pietro Vergari offre bajocchi dieci all’anno durante il presente
armamento
Ubaldo Castellani offre bajocchi cinque per una sol volta
135
Nicola Aliberti offre bajocchi venti per una sol volta
Antonio Cianfichi offre bajocchi sei, e mezzo per una sol volta
Antonio Bontempi offre paoli venti per una sol volta
Pietro Baldassini offre bajocchi sei, e mezzo per una sol volta
Carlo Gambucci offre bajocchi dieci all’anno durante il presente
armamento
Francesco Boldrini offre bajocchi cinque all’anno durante il
presente armamento
Sabatino del quondam Marco d’Angelo offre bajocchi cinque
all’anno durante il presente armamento
Carlo Sabatini offre bajocchi dieci per una sola volta
Bartolomeo Generotti offre bajocchi tre ed un quattrino
all’anno durante il presente armamento
Ubaldo Vergari offre bajocchi cinque all’anno durante il presente
armamento
Antonio Angeli offre bajocchi tre, ed un quattrino all’anno
durante il presente armamento
Giuseppe Vergari offre bajocchi venti per una sol volta
Ubaldo Chemi offre bajocchi trenta per una sol volta
Alesandro Vergari offre bajocchi tre, ed un quattrino all’anno
durante il presente armamento
Domenico Giacobini offre bajocchi sei, e mezzo per una sol volta
Bernardino Aluigi offre paoli dieci per una sol volta
Francesco Agostinucci offre bajocchi sei e mezzo per una sol volta
Pietro Nardi offre bajocchie sei e mezzo per una sol volta
Francesco Ronconi offre bajocchi 30 per una sol volta
Marco Ribacchi offre bajocchi 30 per una sol volta
Antonio Tomassoni offre bajochi 6 e mezzo per una sol volta
Vincenzo Cavicchi offre bajochi 6 e mezzo per una sol volta
Francesco Gambucci offre bajocchi 10 all’anno durante il
presente armamento
Girolamo Ramacci offre bajocchi 6 e mezzo per una sol volta
Ubaldo Alimenti offre bajocchi 10 all’anno durante il presente
armamento
Ottavio Alimenti offre bajocchi 5 all’anno durante il presente
armamento
136
Francesco del quondam Giacomo Generotti offre bajocchi 6
e mezzo all’anno durante il presente armamento
Michele Pagnani offre bajocchi 6 e mezzo per una sol volta
Giuseppe Alimenti offre bajocchi 6 e tre quattrini per una sol
volta
Marcello Fiorucci offre bajocchi 15 per una sol volta
Giovanni Cianfichi offre bajocchi dieci all’anno durante il
presente armamento
Domenico Ribacchi offre bajocchi 15 per una sol volta
Marino Ricciardi offre bajocchi 20 per una sol volta
Giuseppe Ceccacci offre bajocchi 6 e tre quattrini per una
sol volta
Filippo di Rugo offre bajocchi 20 all’anno durante il presente
armamento
Giovanni Maria Bugliosi offre bajocchi 5 per una sol volta
Francesco di Pietro Ricciardi offre paoli 5 all’anno durante il
presente armamento
Bartolomeo Morelli offre paoli 30 per una sol volta
Carlo del quondam Sante offre paoli 5 per una sol volta
Giovanni Maria Pambianco offre bajocchi 15 per una sol volta
Nicola Gambucci offre bajocchi 3 ed un quattrino per una
sol volta
Tomasso Mascolini offre paoli due per una sol volta
Michele Rigo offre bajocchi 20 per una sol volta
Antonio Dicini offre bajocchi 5 per una sol volta
Francesco Monteneri offre paoli 2 per una sol volta
Vincenzo Rigo offre bajocchi 20 per una sol volta
Giovanni Puletti offre bajocchi 10 per una sol volta
Tomasso Mascolini offre bajocchi 6 e mezzo per una sol volta
Francesco di Guido offre bajocchi 10 per una sol volta
Ubaldo Coldagelli offre paoli 13 per una sol volta
Pasquale Mascolini offre paoli 2 per una sol volta
Silvio di Rugo offre paoli 3 per una sol volta
Domenico Rugo offre bajocchi 12 all’anno durante il presente
armamento
Sebastiano Guidarelli offre bajocchi 6 e tre quattrini all’anno
durante il presente armamento
137
Pietro Filippini offre bajocchi 5 all’anno durante il presente armamento
Francesco Mascolini offre bajocchi 10 all’anno durante il presente
armamento
Carlo Cuccagna offre bajocchi 6 e tre quattrini per una sol volta
Marc’Antonio Guidarelli offre bajocchi 6 e tre quattrini per
una sol volta
Francesco Scarinci offre bajocchi 6 e tre quattrini per una sol volta
Pietro figlio di Biagio offre bajocchi 3 all’anno durante il presente
armamento
Alesando Brunori offre bajocchi 6 e tre quattrini all’anno durante
il presente armamento
Giovanni del quondam Domenico offre bajocchi 10 per una
sol volta
Carlo di Maurizio offre bajocchi 10 per una sol volta
Matteo Rosi offre bajocchi 5 per una sol volta
Agostino Giacometti offre bajocchi 5 per una sol volta
Bartolomeo Sorce offre bajocchi 6 e tre quattrini per una sol volta
Bernardino Rosati offre paoli 2 per una sol volta
Tomaso Sagrafana offre bajocchi 6 e tre quattrini per una sol volta
Bartolomeo Boldrini offre bajocchi 5 per una sol volta
Agostino Troiani offre bajochi 6 e tre quattrini per una sol volta
Sebastiano Lupini offre paoli 15 all’anno durante il presente
armamento
Agostino Filippini offre bajocchi 4 per una sol volta
Paolo Bugliosi offre bajocchi 5 per una sol volta
Francesco Fugnanesi offre bajocchi 5 per una sol volta
Antonio Trecciola offre bajocchi 5 per una sol volta
Giovanni Bellucci offre bajocchi 10 per una sol volta
Alesandro Bellucci offre bajocchi 3 per una sol volta
Ippolito Vergari offre paoli due per una sol volta
Benedetto Pambianco offre bajocchi 3 all’anno durante il presente
armamento
Lorenzo del quondam Giuseppe offre bajocchi 5 all’anno durante
il presente armamento
Mattia Bugliosi offre bajocchi 6 e tre quattrini per una sol volta
Giuseppe del quondam Cesare offre bajocchi 10 per una sol volta
138
Andrea del quondam Francesco offre bajocchi 6 e tre quattrini
per una sol volta
Giuseppe di Francesco Vagni offre bajocchi 6 e tre quattrini
per una sol volta
Antonio Storti offre bajocchi 5 per una sol volta
Giovanni Barbaccia offre bajocchi 5 per una sol volta
Tomasso Mattrella offre bajocchi 5 per una sol volta
Simone Santinelli offre bajocchi 5 per una sol volta
Ubaldo Galli offre bajocchi 5 per una sol volta
Egidio Flussi offre bajocchi 5 per una sol volta
Carlo Panbianco offre bajocchi 10 per una sol volta
Patrignano Filippini offre bajocchi 6 e tre quattrini per una
sol volta
Mario Veschi offre bajocchi 5 per una sol volta
Paolo Ponpili offre bajocchi 3 all’anno durante il presente armamento
Vincenzo Scarabotta offre bajocchi 3 per una sol volta
Mattia Mariucci offre bajocchi 3 per una sol volta
Ubaldo Luchetti offre bajocchi 10 per una sol volta
Domenico Bellucci offre bajocchi 13 per una sol volta.
Terminato ed eseguito, e rispettivamente ricevute ed accettate
dalli Sig.ri Deputati le suddette offerte dopo avere date le dovute
grazie all’altissimo, fu licenziato il Consiglio
Così è Clemente Petrini Giudice e Segretario.
Le persone che qui di seguito si elencano, pur presenti al consiglio,
non fecero offerte.
Marcantonio Crivelli
Lorenzo Boldrini
Marco Gambucci
Bernardino Gambucci
Francesco Pietro Ceccarelli
Fortunato Mancini
Francesco Ceccacci

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La vecchia generazione, tutta sacrificio e tenacia, ci ha lasciato in eredità valori a prova del tempo
Quando per poter vivere bisognava emigrare molto lontano
Costacciaro - Tra l'Ottocento e il primo Novecento fu intenso, da parte dei cittadini dei nostri paesi subappenninici del comprensorio eugubino gualdese, il flusso dell'emigrazione transoceanica verso l'America. Tanti lavoratori dei campi furono, cosi, strappati alla loro terra dall'urgente necessità di "cercar miglior fortuna nelle lontane Americhe". Eroi senza volto né nome, i nostri emigranti salparono, all'alba, coi bastimenti a vapore, per cercare una nuova alba di riscatto sociale ed economico. Nei nostri paesi pedeappenninici non c’è quasi famiglia che non abbia avuto un proprio, membro emigrato in America, o altrove nel mondo. Molti di costoro non fecero mai ritorno a casa, o perché trapiantatisi felicemente nel paese ospitante, o perché, purtroppo, morti sul lavoro, o periti nell'affondamento del proprio transatlantico, come accadde a sigillani e costacciaroli, rispettivamente annegati nel naufragio del vapore "Bourgogne" e dell"Empress of Ireland". Alcuni giovani di Costacciaro, "rispondendo all'appello della patria", tornarono, poi, dall'America solo per morire sugli insanguinati campi di battaglia della prima guerra mondiale: fra essi, Antonio Regnasco, (dal Nuovo Messico) Italo Benvenuti, e Paolo Morelli (dal Canada). Di questi richiamati alle armi, solo pochi ebbero la ventura di salvarsi: fra essi, Benedetto Pambianco di Villa Col de' Canali, ritornato, conil citato Regnasco, dal Nuovo Messico. Una parte di coloro che, poi, ebbe la ventura di fare ritorno con qualche "soldo in tasca", dopo anni di lavoro nelle miniere di ferro, o di carbone, fece appena in tempo a vedere sventolare la bandiera italiana sul tetto della propria casa "cimata". Tale sogno, accarezzato per tutta una vita, fu, infatti, spesso stroncato dalle conseguenze letali della "sinicosa", la terribile silicosi, causata dalla prolungata inalazione di polvere di miniera ("posièra de mina"). "Fatta la casa, morto l'ucello" era la frase proverbiale che esemplificava, meglio d'ogni altra, questa triste sorte. Furono dei veri eroi quei "minatori del ferro'', quei fieri "ribelli del Minnesota", mirabilmente descritti dalla penna ispirata e partecipante del poeta minatore di Costacciaro Efrem Bartoletti, una figura cerniera tra vecchio e nuovo mondo, che ebbe il coraggio, le corde e la voce per cantare, a gola spiegata, questa mortificata epopea del coraggio e della fatica di un'intera generazione di nostri predecessori.
Euro Puletti


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